Argo cane di Ulisse, vecchio, malato e ormai morente, è l’unico che riconosce l’eroe ricondotto in patria, Itaca, dal re dei Feaci, Alcinoo.
Il cane di Ulisse
Sono passati vent’anni dall’ultima volta che il cane Argo ha visto Ulisse, il suo padrone. Nonostante questi sia vestito da mendicante, invecchiato, provato da molte avventure, lo riconosce e gli dimostra la sua felicità. Infine, come se avesse solo atteso di vederlo nuovamente prima di morire, dopo il breve incontro con l’eroe si spegne.
Argo cane di Ulisse parafrasi vv. 291-327
Un cane, sdraiato, rizzò muso e orecchie. Era Argo, il cane dell’intrepido Ulisse, il quale in tempi lontani lo aveva nutrito personalmente ma non aveva avuto modo di godere della sua compagnia prima di partire per la sacra Troia.
In passato i giovani conducevano Argo con sé a caccia di capre selvatiche, cervi e lepri; ora però egli giaceva trascurato in quel luogo, poiché il suo padrone era lontano; era sdraiato sul letame abbondante di muli e buoi, che i servi ammucchiavano davanti alle porte perché poi i servi lo portassero via, per concimare i vasti terreni di Ulisse.
Il cane Argo giaceva là, pieno di zecche. E non appena sentì vicino Ulisse, l’animale mosse la coda e abbassò le orecchie, ma non poté correre incontro al suo padrone. L’eroe si voltò e si asciugò una lacrima, facendo in modo che Eumeo non lo vedesse; subito dopo gli chiese: «Eumeo, che meraviglia quel cane, là sul letame! Ha un corpo splendido, ma non riesco a capire se, a parte la bellezza, esso fu anche veloce nella corsa, oppure se è solo uno di quei cani da mensa dei principi, che i padroni allevano solo per l’aspetto esteriore».
E tu, Eumeo, guardiano di maiali, gli rispondesti dicendo: «Purtroppo è il cane di un uomo che è morto lontano dalla patria. Se fosse rimasto, in quanto a bellezza e forza, come lo lasciò Ulisse quando partì per Troia, rimarresti incantato a guardarlo, per la sua magrezza e agilità.
Anche nel bosco più fitto, non gli sfuggiva nessun animale che vedesse ed era bravissimo a fiutare la selvaggina. Ora è malridotto, sfinito dalla vecchiaia: il suo padrone è morto lontano e le ancelle, indolenti e sleali, non ne hanno cura perché i servi, quando i padroni non li controllano, non si impegnano per lavorare come si deve: Zeus, padrone del tuono, distrugge metà del valore di un uomo quando questi diventa schiavo (lo schiavo è uno strumento del padrone; non agisce di sua iniziativa).
Dopo aver detto così, entrò nella casa collocata in buona posizione e andò dritto nella sala dei Proci, i nobili pretendenti di Penelope.
Allora la Moira della morte oscura afferrò Argo, che aveva appena rivisto Ulisse dopo vent’anni.
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