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Aristofane e la commedia Le nuvole

Aristofane, commediografo, nacque ad Atene vero il 444 a.C. Il suo esordio sulla scena avvenne con la commedia i Banchettanti (427 a.C.), che venne però rappresentata sotto il nome di Callistrato.

Nel 426 Aristofane venne accusato da Cleone, capo del partito democratico di Atene, di aver diffamato la città alla presenza di stranieri nei Babilonesi, messi in scena alle Grandi Dionisie, festività aperte anche ai non Ateniesi.
Le notizie su Aristofane si perdono dopo il 386/5 a.C.

In circa quarant’anni di attività teatrale Aristofane compose quaranta commedie. Della sua produzione ci sono pervenute intere undici opere (con l’asterisco sono indicate quelle che ottennero il  primo premio): Acarnesi* (425 a.C.), Cavalieri* (424 a.C.), Nuvole (423 a.C), Vespe (422 a.C.), Pace (421 a.C.), Uccelli (414 a.C.), Lisistrata (411 a.C.), La festa delle donne (411-410 a.C.), Rane* (405 a.C.), Le donne all’assemblea (392 a.C.), Pluto (388 a.C.); le altre due vittorie furono assegnate ai perduti Proagone e Babilonesi.

Aristofane Le nuvole

Nella commedia “Le nuvole” di Aristofane, Strepsiade manda a scuola dal filosofo Socrate il figlio Fidippide, perché impari a fare bei discorsi in modo da imbrogliare i creditori.

Nella commedia Socrate è presentato come un chiacchierone perdigiorno, che dal suo «pensatoio» a mezz’aria, in direzione delle nuvole, infonde insegnamenti corruttori ai giovani dabbene, negando gli dèi della città.

L’operazione riesce fin troppo bene: i creditori vengono sì cacciati via, ma l’allegria del genitore per l’effimero successo dura poco. Infatti, venuto a diverbio con il figlio per futili motivi, Strepsiade ne riceve una solenne bastonatura e una dimostrazione ineccepibile del diritto di Fidippide a picchiare il  padre.

“Strepsiade: Ohi, ohi, aiuto! Mi picchiano! Ahi, povero me! Delinquente, picchi tuo padre?

Fidippide: Certo, per Zeus, e ti dimostrerò che era mio diritto.

Strepsiade: Infame scellerato, come potrà essere mai un diritto picchiare il padre?

Fidippide: Riuscirò a dimostrarlo con un bel discorso e tu vedrai che perdi. Ti farò una domanda: quand’ero bambino, mi picchiavi?

Strepsiade: Certo, lo facevo per te, per il tuo bene.

Fidippide: Dimmi allora: non è giusto che anch’io ti voglia bene e ti picchi, visto che picchiare vuol dire voler bene? Mi dirai che le botte le prendono i bambini. Ma io ti potrei obiettare che i vecchi, come dice il proverbio, sono due volte bambini. E anzi è giusto che siano picchiati più dei giovani, perché hanno meno ragione di sbagliare.”

La commedia si chiude con Strepsiade che, furibondo, dà fuoco al «pensatoio».

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