Artemide, figlia di Zeus e di Leto (Latona per i Romani) e sorella di Apollo, fu considerata padrona e signora degli animali e della caccia.
I cacciatori, infatti, la veneravano offrendole le corna e la pelle degli animali uccisi, che appendevano a un albero o a un palo. Questa consuetudine, che ha tutto il sapore del ringraziamento oltre che del rito propiziatorio, conferma come la caccia fosse molto importante nell’ambito delle attività degli antichi.
La dea Artemide chiese e ottenne dal padre: il dono di restare sempre casta; il permesso di abbigliarsi con una tunica giallo cromo bordata in rosso; un corteggio di 60 ninfe Oceanine e di 20 ninfe dei fiumi che dovevano prendersi cura dei suoi calzari e accompagnarla nel suo vagare per i boschi. Anche le ninfe che l’accompagnavano erano dedite alla castità perché la dea non ammetteva che nessuna delle sue compagne prestasse attenzione alle profferte amorose.
Pur essendo dea della caccia e signora degli animali, Artemide era invocata dalle donne che stavano per dare alla luce un bambino, perché la madre della dea l’aveva partorita senza dolore.
Per ottenere le armi che desiderava (un arco d’argento, la faretra e le frecce) si recò nell’isola di Lipari dove si trovava la fucina dei Ciclopi (da altri collocata sotto l’Etna o altrove in Sicilia).
Si spostava su un cocchio trainato da due cerve dalle corna d’oro. Le ninfe Amisie accudivano alle cerve di Artemide, nutrendole con lo stesso trifoglio che costituiva il cibo preferito dai cavalli di Zeus.
Come suo fratello Apollo, anche Artemide ebbe la prerogativa di colpire con le sue frecce gli esseri umani, condannandoli a morti improvvise. Come Apollo era associato al sole, sua sorella Artemide fu venerata come luna, ovvero colei che emana una dolce luce argentea per illuminare le notti serene, rischiarando le strade. Era dunque considerata la protettrice dei viandanti e la loro guida, specialmente nei boschi, dove il buio è più fitto.
Le erano sacri tra gli animali: la cerva, il cane, il cinghiale e il lupo; e tra le piante: l’alloro, il cedro e l’olivo.
La Diana dei Romani non si differenziava molto dalla Artemide greca. A partire da Servio Tullio in poi, a Diana fu consacrato un tempio sull’Aventino. Fino all’età imperiale, il culto di Diana fu particolarmente sentito a Roma.