Ascesa al Monte Ventoso è una lettera scritta da Francesco Petrarca recante la data 26 aprile 1336, giorno di Venerdì Santo, cioè il giorno di pentimento che precede la Pasqua e la Redenzione. Si tratta dunque di una scelta intensamene simbolica. In realtà, la lettera fu stesa, o comunque rielaborata, parecchi anni dopo, nel 1352-53.
La lettera è indirizzata a Dionigi da Borgo San Sepolcro, il frate agostiniano che aveva donato al poeta la copia delle Confessioni di sant’Agostino e che egli portava sempre con sé.
In apertura della lettera, Petrarca confessa all’amico Dionigi che già da molti anni si era prefissato l’obiettivo dell’ascesa al Monte Ventoso. Infine, la spinta nasce dalla lettura della salita compiuta da Filippo di Macedonia sul monte Emo in Tessaglia e raccontata da Tito Livio nella sua opera Ab Urbe Condita.
Dopo aver valutato chi poteva essere l’accompagnatore migliore, il poeta decide di proporre la gita al fratello minore Gherardo. Partono nonostante gli avvertimenti di un anziano pastore sulle difficoltà del cammino, assai impervio e difficile.
Gherardo sale rapidamente per la via più ripida; il poeta, che vuole scansare la fatica, sceglie invece il sentiero più facile ma più lungo e si attarda.
Il significato allegorico di ciò è il seguente: Gherardo (prenderà i voti nel 1343) sale senza difficoltà perché è libero dalla schiavitù dei beni materiali, mentre il cammino di Francesco è impedito perché il suo animo è occupato dalla passione e dall’attccamento ai beni mondani anziché rivolto a Dio e alle cose spirituali.
I due fratelli raggiungono la vetta chiamata “Figliuolo” e davanti ai loro occhi si apre lo spettacolo grandioso della natura. Poi, il poeta prende a meditare e realizza di aver lasciato la vita studentesca dieci anni prima senza aver fatto alcun progresso sulla via della virtù.
Gherardo e Francesco decidono di leggere un passo delle Confessioni di sant’Agostino. Francesco apre il libro a caso e questo si apre sul punto in cui il santo rimprovera coloro che pensano ai piaceri terreni anziché prestare la propria attenzione all’anima.
La narrazione si conclude con la discesa a valle e la consapevolezza che la conquista del mondo esteriore è vana e che ciò che veramente conta è la conoscenza dell’interiorità.