Baldassarre Castiglione nasce a Casatico, presso Mantova, il 6 dicembre 1478, da una nobile famiglia militare legata ai marchesi Gonzaga.
Castiglione compie studi umanistici a Milano e apprende le arti cavalleresche frequentando la corte di Ludovico il Moro. A ventuno anni entra al servizio del marchese di Mantova, Francesco Gonzaga, con il quale resta fino al 1504, quando, su invito del duca Guidobaldo da Montefeltro, passa nella corte di Urbino.
Il periodo, tra il 1504 e il 1513, passato presso la corte di Urbino, prima al servizio di Guidobaldo, poi (dal 1508) del successore, Francesco Maria della Rovere, è il più felice della sua vita. In questi anni Castiglione è infatti impiegato per vari incarichi, mentre svolge una notevole attività letteraria: scrive con Cesare Gonzaga l’egloga Tirsi; disegna e abbozza il suo capolavoro Il Cortegiano.
Nel 1513 si reca a Roma come ambasciatore del duca di Urbino. Qui, per oltre un decennio, svolge una notevole attività diplomatica e partecipa nel tempo stesso alla intensa vita intellettuale di Roma. Stringe infatti amicizia con i più eminenti letterati ed artisti, fra i quali il Bembo e Raffaello. Intanto nel 1521 completa la seconda redazione del Cortegiano. Sempre nel 1521, rimasto vedovo, abbraccia la carriera ecclesiastica.
Nel 1524 Clemente VII lo invia come nunzio pontificio in Spagna presso la corte di Carlo V. Il pontefice conta di servirsi di lui per essere informato sulle intenzioni e i disegni del sovrano in un momento in cui la situazione politica europea è molto pericolosa e minacciosa.
Però mentre le notizie e le osservazioni espresse dal Castiglione sono rassicuranti, la realtà si mostra molto diversa. Infatti, dopo il disastroso andamento della guerra della Lega di Cognac (alla quale Clemente VII ha aderito), un esercito di Lanzichenecchi invade e saccheggia Roma (1527). Il papa incolpa allora Castiglione di incompetenza e negligenza ma poi accetta le sue giustificazioni.
Nel 1528 è pubblicata la terza e ultima redazione del Cortegiano.
Baldassarre Castiglione muore l’8 febbraio 1529 a Toledo colpito da febbri pestilenziali.
Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione
Il Cortegiano o più propriamente Il libro del Cortegiano è un trattato in 4 libri, scritto in forma dialogica. Castiglione lo inizia verso il 1513-1514 e lo pubblica a Venezia nel 1528.
Le redazioni dell’opera
Nella prima redazione del Cortegiano sono presenti temi poi aboliti (come una lunga discussione sulla inferiorità della donna) e assenti altri che poi avranno adeguata trattazione (come quello dei rapporti tra il cortigiano e il principe).
Nella terza redazione si passa dai tre libri della seconda, a quattro. Il terzo libro, infatti, è suddiviso in due: uno (l’attuale terzo) dedicato alla «donna di palazzo» e un altro (il quarto) ai rapporti fra cortigiano e principe e all’elogio dell’amore spirituale, messo in bocca all’autore degli Asolani, Pietro Bembo.
La lettera dedicatoria
L’opera è preceduta da una lettera dedicatoria a Michele De Silva, vescovo di Viseu in Portogallo. In essa Castiglione dichiara di aver preso a modello Cicerone, Platone e Senofonte. Come costoro avevano offerto modelli di perfetto oratore (Cicerone nel De oratore), di perfetto stato (Platone nella Repubblica) e di perfetto sovrano (Senofonte nella Ciropedia), così Castiglione vuole insegnare a diventare perfetti cortigiani.
Nella lettera, egli precisa che il dialogo è avvenuto in un tempo passato, facendo presente che quasi tutti gli interlocutori, che allora si riunivano alla corte di Urbino sotto Guidobaldo di Montefeltro, sono nel frattempo morti. In tal modo l’autore sgancia l’opera da una situazione ancora attuale e concreta; trasforma in miti la corte di Urbino e il dialogo che vi si svolge e li offre come modello assoluto alle varie corti europee.
Struttura e protagonisti dell’opera
Il dialogo è ambientato a Urbino nel 1506, durante un viaggio in Inghilterra dell’autore. In sua assenza per quattro sere una trentina di cortigiani, fra cui Pietro Bembo e Giuliano de’ Medici (figlio di Lorenzo il Magnifico), riunitisi attorno alla duchessa Elisabetta Gonzaga, avrebbero tenuto un gioco di società che poi gli sarebbe stato riferito al suo ritorno.
Nelle prime due sere i gentiluomini che partecipano al dialogo cercano di definire «con parole un perfetto cortegiano». Questi deve essere di nobile famiglia; forte ed elegante nel fisico; abile nel maneggio delle armi; coraggioso, colto, prudente nei negozi politici; piacevole nel conversare, spiritoso; elegante nel vestire.
Nella terza sera si illustrano le qualità della perfetta donna di corte. Infine, nella quarta, si affronta il problema dei rapporti che il cortigiano deve istituire con il principe: non di servilismo, ma di consiglio e di illuminazione. Si parla, poi, dei rapporti con le donne, cioè dell’amore. A questo proposito il Bembo espone la dottrina dell’amore platonico, cioè quello ideale, visto in senso spirituale, quell’amore che fa da tramite tra Dio e l’uomo.
Nel primo libro è definita la qualità della «grazia» e della «sprezzatura». A parlare, nel primo libro, è soprattutto Lodovico di Canossa. Si definisce subito la qualità principale del cortigiano: la «grazia». La «grazia» – dice il Cortegiano – deriva dall’«usar in ogni cosa una certa sprezzatura («sprezzatura», cioè un’elegante naturalezza, una disinvoltura e una scioltezza particolari) che nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e deve venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi».
Ogni cosa senza fatica: è questa la forma del vivere del gentiluomo. Solo che questa grazia è il prodotto di una simulazione: è una grazia messa in scena, rappresentata. La fatica è rimossa, occultata, non abolita. Anzi trasformata in un’«arte» nascosta, che non deve essere visibile.
Nel secondo libro si indicano le altre qualità del cortigiano e l’ideale della mediocritas: deve saper combattere e primeggiare nei tornei cavallereschi, saper cantare e danzare. L’ideale è quello di una medietà o mediocritas, che deve tenerlo lontano da ogni eccesso, anche nel vestire e nell’atteggiarsi.
Nel terzo libro l’argomento si sposta sulle donne, e cioè sulla figura della perfetta «donna di palazzo». Giuliano de’ Medici contrasta la tesi misogina, indicando un ideale di donna aggraziata ed elegante, che sa stare al gioco di società, sa ridere, scherzare usare motti appropriati, ma resta comunque casta e virtuosa.
Nel quarto libro si definisce il rapporto del cortigiano con il principe. Il fine del buon cortigiano è di influenzare il principe, senza adularlo; deve consigliarlo, dirgli la verità e correggerlo, se necessario. Il cortigiano, insomma, deve avere qualità morali tali da poter condizionare l’attività del signore.
L’ideale del perfetto uomo di corte
È comunemente riconosciuto che nel Cortegiano Baldassarre Castiglione rappresenti la vita della corte su un piano di costante idealizzazione. Il “perfetto cortigiano” è infatti un ideale, poiché appare estremamente difficile che un uomo riesca a possedere tante qualità, ma nel tempo stesso è un ideale concreto proposto come modello a cui effettivamente ogni cortigiano deve cercare di conformarsi nell’ambito delle proprie possibilità.