Con il termine Barbari (dal greco bàrbaros, “balbuziente”, per indicare lo straniero incapace di pronunciare correttamente la lingua greca) venivano indicate le genti estranee alla civiltà greca e romana e in particolare le popolazioni germaniche (Ostrogoti, Unni, Visigoti, Vandali, Burgundi, Franchi, Longobardi, Sassoni…) che si insediarono nell’Impero romano nei secoli IV-VI formando poi, al crollo di quest’ultimo, i Regni romano-germanici o Regni romano-barbarici.
I popoli barbari erano nomadi; praticavano la raccolta dei frutti selvatici; l’allevamento brado (soprattutto dei maiali) nei boschi; la caccia; la pesca e la lavorazione dei metalli.
Ignoravano il commercio e non conoscevano la scrittura. La guerra era l’attività più importante e con essa la razzia.
All’assemblea dei guerrieri spettava prendere le decisioni più importanti e l’elezione del re.
I Barbari non avevano leggi scritte e la giustizia era garantita dalla faida (il diritto alla vendetta personale) e dall’ordalia.
I Barbari erano politeisti; i loro dèi vivevano nel Walhalla, il paradiso dei guerrieri morti in battaglia. Gli dèi principali erano Wotan (o Odino), il re degli dèi, dio della magia e della vittoria; suo figlio Thor, dio del tuono e della forza; Tiuz, dio della giustizia.
Lo storico latino Tacito nella sua monografia Germania – l’unica opera specificatamente dedicata a un popolo straniero che ci sia rimasta della letteratura antica – riporta che i Germani (o Barbari, come i Romani preferivano chiamarli):
non costruivano città, ma villaggi in cui le case stavano sparse e separate tra loro. Per costruirle non usavano pietre e mattoni, ma legname (capitolo 16);
vestivano un mantello di lana, i più ricchi un abito attillato. Indossavano anche pelli di animale. Le donne vestivano all’incirca come gli uomini, salvo l’uso di manti di lino, fregiati di porpora, privi di maniche; le braccia e la parte superiore del petto erano nude (cap.17);
erano indulgenti all’ospitalità e ai banchetti, senza distinzione fra persone note e sconosciute. Era considerato illecito respingere uno dalla propria casa. All’ospite si offrivano i doni da lui richiesti (capitolo 21, paragrafo 2);
si cibavano esclusivamente di frutti selvatici, selavaggina fresca, latte cagliato. Amavano bere birra e, i più vicini al Reno, vino comprato dai mercanti (capitolo 23).
Nei Regni romano-barbarici iniziò il confronto tra due culture: da una parte quella antica e raffinata dei Romani d’Occidente, dall’altra quella più semplice, rozza, spesso feroce, ma più giovane ed energica dei Barbari.
All’inizio più che un incontro, quello fra le tradizioni dei due popoli apparve uno scontro. I Romani del V e del VI secolo, vissero la fine del loro Impero come una tragedia immane: il mondo ordinato, guidato dallo Stato e soggetto alle leggi moriva, travolto da popoli barbari assetati di sangue che eleggevano un capo solo quando volevano razziare e rubare, che non sapevano cos’è un tribunale, non avevano case stabili, non conoscevano il piacere di assistere a uno spettacolo, ignoravano la scrittura.
Occorsero circa due secoli e mezzo perché le differenze potessero appianarsi e superarle. Al termine di questo lungo processo, dallo scambio tra la cultura germanica e quella romana nacque una nuova civiltà: la civiltà medievale.
La grande mediatrice tra le due civiltà fu la Chiesa. Essa fu l’unica istituzione che sopravvisse al crollo dell’Impero romano d’Occidente e che spesso riuscì a convertire i Germani sia pagani sia ariani al cattolicesimo per poter guidare e controllare i loro movimenti.