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Blaise Pascal: il filosofo dell’esistenza

Blaise Pascal, figlio di un nobile di toga, nasce a Clermont il 19 giugno 1623. Quando la madre muore si trasferisce a Parigi.
Si interessò fin da subito alla matematica e alla fisica. A 16 anni compose un Saggio sulle sezioni coniche. A 18 realizzò una calcolatrice. Non abbandonò gli studi scientifici neanche dopo la vocazione religiosa: la teoria della roulette, il calcolo della probabilità e altre invenzioni lo occuparono negli anni della maturità.

Nel 1654 divenne ormai chiara in Blaise Pascal la vocazione religiosa. In uno scritto che fu trovato dopo la sua morte cucito nel suo vestito, Pascal ci ha lasciato il documento dell’illuminazione che si fece nel suo spirito.
Eccone alcune frasi:
Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe.
Non dei filosofi e degli scienziati.
Certezza, certezza, sentimento, gioia, pace.
Dio di Gesù Cristo.

Da quel momento Blaise Pascal entrò a far parte dei solitari di Port-Royal. L’abbazia di Port-Royal era stata ricostruita nel 1636 dall’abate di Saint-Cyran nella forma di una comunità religiosa, priva di regole determinate, i cui membri si dedicavano alla meditazione, allo studio e all’insegnamento.

Il 23 gennaio 1656 Blaise Pascal pubblicò con lo pseudonimo di Luigi di Montalto la prima delle sue Lettere provinciali; a questa seguirono altre diciasette lettere, l’ultima delle quali datata 24 marzo 1657.
Lettere provinciali costituiscono un capolavoro di profondità e umorismo con le quali Pascal polemizza contro la dottrina molinista. Essa sosteneva, infatti, che tutti gli uomini possedessero una grazia sufficiente, che, però, risultava sufficiente di nome ma non di fatto, poiché tutti la hanno, ma non garantisce la salvezza.
A partire dalla quinta lettera le critiche di Pascal sono rivolte alla pratica dei Gesuiti di accogliere tutti nel seno della Chiesa: essi mettono a posto la coscienza dei peccatori e vanno incontro alle anime pie con i loro direttori severi. Ma poiché le anime pie sono poche, «essi non hanno bisogno di molti direttori severi per condurle».
Nell’ultima lettera, Pascal riconosce con Agostino che le nostre azioni sono nostre a causa del libero arbitrio che le produce; e che esse sono anche di Dio, a causa della sua grazia, la quale fa sì che il nostro arbitrio le produca. Così, come Agostino dice, Dio ci induce a fare ciò che gli piace, facendoci volere ciò che potremmo non volere affatto.

Oltre alle Lettere e alla sua attività di scienziato, si dedicò anche ad un’Apologia del cristianesimo, che però non terminò, perché la sua salute malferma fin dall’infanzia, era divenuta sempre più fragile.
Il 19 agosto 1662, a 39 anni, muore Blaise Pascal.
I frammenti della sua opera apologetica furono poi raccolti e ordinati dai suoi amici di Port-Royal e pubblicati nel 1669 con il titolo di Pensieri.

Blaise Pascal può essere presentato come il filosofo dell’esistenza.
La filosofia di Pascal è volta a mostrare lo scacco della mentalità comune, della scienza e della filosofia di fronte ai problemi esistenziali e a mettere in luce la capacità del cristianesimo di dare a tale problema una risposta adeguata.  Il suo interlocutore diventa, così, in particolar modo, il miscredente, il “libero pensatore”.

Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci.

(Pensieri, 168)

Per questo, secondo Blaise Pascal, l’uomo insegue i beni materiali e si concentra sulle attività quotidiane. Opera quindi una fuga da sé, che chiama divertissement, che può essere tradotto con “oblio e stordimento da sé”.
Altrimenti l’uomo avverte la sua insufficienza e la sua strutturale miseria. Il divertissement, però, non è un’attività propria dell’uomo e non porta alla felicità. L’uomo, infatti, dovrebbe semplicemente rassegnarsi e accettare la propria condizione.

Blaise Pascal ritiene, inoltre, che i problemi esistenziali non possano essere risolti dalla ragione, ma l’uomo deve affidarsi al cuore:

Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.

(Pensieri, 177)

Descrive l’uomo come un «mostro incomprensibile» nella sua posizione mediana tra miseria e grandezza.
L’uomo risulta compreso tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. E’ un nulla di fronte al tutto e un tutto di fronte al nulla, dichiara Blaise Pascal.
Non è del tutto ignorante, ma non possiede una conoscenza assoluta, sebbene sia animato da un illimitato desiderio di conoscere.
Cerca il bene e la felicità, ma pur volendolo non riuscirà mai a conseguirli.
L’uomo pascaliano, diviso tra volere e non potere, appare come un desiderio frustrato.

Noi vaghiamo in un vasto mare, sospinti da un estremo all’altro, sempre incerti e fluttuanti. (…)

(Pensieri, 72)

Soltanto la religione, secondo Blaise Pascal, è in grado di risolvere quel mostro incomprensibile, che la ragione non è in grado di spiegare.
Pascal elabora il celebre argomento della scommessa, il quale afferma che l’uomo deve scegliere se vivere come se Dio ci fosse o vivere come se Dio non ci fosse; né può sottrarsi a questa scelta, perché non scegliere è già una scelta negativa. Ora, se la ragione non può aiutare l’uomo, questi deve considerare qual è la scelta più conveniente: se scommetto su Dio, se Dio esiste, guadagno la salvezza, se Dio non esiste, perdo i beni materiali; se non scommetto su Dio, se Dio esiste, perdo la salvezza, se non esiste, guadagno i beni materiali.

Ma Blaise Pascal riconosce che essendo la fede un automatismo, l’uomo può anche non averla. Tuttavia, se questi fa tutto come se credesse, può abituarsi alla fede.

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