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Bonagiunta Orbicciani, Voi ch’avete mutata la mainera

Bonagiunta Orbicciani da Lucca nacque intorno al 1220 e morì probabilmente nel 1296, o poco dopo. Fu notaio e poeta. È il più antico tra gli esponenti della scuola siculo-toscana; a lui va il merito di aver introdotto in Toscana l’esperienza dei poeti della Scuola siciliana.

La fama di Bonagiunta è legata soprattutto a un passo della Divina Commedia (Purgatorio canto XXIV), dove Dante immagina di incontrarlo nell’aldilà: Bonagiunta domanda a Dante se sia colui che, scrivendo la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore, diede origine a un nuovo stile poetico.

Dante risponde di essere uno di quelli che scrivono sotto dettatura di Amore e Bonagiunta comprende che proprio questa è la caratteristica del Dolce Stil Novo di cui ha sentito parlare; ad essa non giunsero né lui né altri poeti della sua e della precedente generazione, come Giacomo da Lentini e Guittone d’Arezzo. Le loro liriche, infatti, non furono tanto fedeli a una profonda ispirazione amorosa.

Nella sua produzione (38 componimenti fra canzoni, sonetti, ballate e discorsi) dimostra di essere più vicino ai poeti della Scuola siciliana che a Guittone. Gli studiosi concordano nel ritenere Bonagiunta Orbicciani il tramite più importante fra poesia siciliana e poesia toscana.

Bonagiunta Orbicciani fa uso di uno stile piano e di un linguaggio privo del lessico specialistico, ma «municipale», come lo definì Dante, cioè di registro medio e con alcuni dialettismi.

La tenzone tra Bonagiunta e Guinizzelli

Nel sonetto Voi ch’avete mutata la mainera Bonagiunta difende la propria poetica attaccando il caposcuola del rinnovamento (il Dolce Stil Novo), il bolognese Guido Guinizzelli.

Nel sonetto Bonagiunta accusa Guinizzelli di avere cambiato il bello stile tradizionale solo per ottenere fama, creando così una novità forse valida a Bologna ma inutile in Toscana, dove la vecchia poetica aveva dato risultati insuperabili.

Di Guinizzelli e della nuova tendenza viene inoltre criticato l’eccessivo intellettualismo, la cui sottigliezza finisce col rendere oscuro il significato del testo poetico, al punto che non è possibile trovare chi lo spieghi correttamente (vv.9-11).

Guinizelli rispose a Bonagiunta con il sonetto Omo ch’è saggio non corre leggero: Bonagiunta – dice Guinizzelli – ha parlato sconsideratamente, senza riflettere, e si è macchiato di arroganza intellettuale, ritenendosi detentore unico della verità poetica (v.5); mentre invece nel cielo della poesia volano gli uccelli più diversi e tutti hanno in esso diritto di cittadinanza perché la loro diversità è voluta da Dio stesso: è Dio che ha fatto «despari [diversi] senni e intendimenti» (v.13).

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