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Cantanti castrati nell’Italia barocca

I cantanti castrati erano maschi a cui prima della pubertà erano stati asportati chirurgicamente i testicoli, perché fosse bloccato il loro sviluppo ormonale al fine di mantenere una voce con tonalità acute e potente. Erano molto in voga nel panorama operistico del XVII secolo (1600) e XVIII secolo (1700). All’epoca non venivano chiamati “castrati”, ma più generalmente “musici” o “evirati”.

Una volta appurate le loro doti canore, i bambini erano sottoposti a un intervento chirurgico che asportava loro i testicoli in modo da impedire la secrezione del testosterone e di conseguenza il tipico cambio di voce che ha luogo durante la pubertà. La voce che scaturiva era cristallina e acuta come quella di una donna, ma anche abbastanza potente da poter raggiungere le note più basse. Diventavano così controtenori e sopranisti, ruoli oggi interpretati dalle voci femminili dei soprani e mezzosprani.

La pratica dei cantori evirati era molto diffusa nello Stato Pontificio, perché le donne non potevano esibirsi in pubblico (il divieto, imposto da papa Sisto V nel 1588, restò in vigore fino al 1878, quando papa Leone XIII proibì che la Chiesa continuasse a scritturare i castrati), e a Napoli, dove nel Settecento ogni anno quattromila ragazzi venivano sottoposti all’intervento.

Questi bambini spesso provenivano da orfanotrofi, dove impresari senza scrupoli sceglievano i candidati; altre volte provenivano dai ceti più bassi della popolazione: le loro famiglie li vendevano a un maestro di canto o a una istituzione ecclesiastica sperando di riceverne ricchezze.

Su questo tipo di vocalità, indotta da un’operazione, interveniva poi una formazione musicale sempre accuratissima, che durava anni, e soltanto i migliori diventavano professionisti. Molti compositori scrissero musiche appositamente per loro, come ad esempio Georg Friedrich Haendel, che li definiva “macchine da canto”.

I ragazzini che subivano l’operazione andavano incontro a uno svilupppo molto particolare. La voce restava acuta; inoltre, tutte le caratteristiche sessuali secondarie, che in genere in condizioni normali prendevano forma, come il crescere dei peli sul corpo e sul viso, nei castrati non si sviluppavano.

I cantanti castrati erano soprattutto italiani. Viaggiavano in tutta Europa; li troviamo in tutte le nazioni europee, dalla Spagna alla Russia, alla Germania, in Inghilterra, oltre che naturalmente in Italia.

I cantanti castrati erano molto ben pagati; ad essi era sempre affidato il ruolo del protagonista dell’opera; anche le parti femminili erano affidate ai castrati.

Molti di loro divennero vere e proprie celebrità internazionali, ne è un esempio Farinelli (vero nome Carlo Broschi, 1705-1782), uno dei più famosi dell’epoca, che divenne il cantore personale del re di Spagna Filippo V. Tra i più noti del Settecento citiamo anche Salimbeni e Porporino.

A partire dal 1730-1740 il fenomeno incominciò a decadere. I cantanti castrati cominciarono a essere sempre di meno. L’opera incominciò a rivolgersi verso soggetti più verosimili, la tendenza non era più verso l’estremo artificio, ma verso la semplicità, l’inclusione dell’umano, della storia, del quotidiano. Erano mutati anche i tempi. Alle spalle c’erano stati i periodi delle grandi, lunghe, rovinose guerre e delle pestilenze. L’Illuminismo ora, con il suo razionalismo, spazzava via il Barocco con tutti i suoi artifici.

L’ultimo cantante castrato fu Alessandro Moreschi (1858-1922), conosciuto come “l’Angelo di Roma”, impiegato nel coro della Cappella Sistina fino al 1913.

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