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Canto 10 Purgatorio riassunto e spiegazione

Il canto 10 del Purgatorio di Dante Alighieri si svolge nella prima cornice, dove è espiato il più grave dei peccati capitali: la superbia, ovvero l’eccessiva considerazione di se stessi, quella che conduce a non sottomettersi né alla legge umana né a quella divina. Dante considera la superbia il più grave tra i peccati perché da questa mancanza di accettazione dei limiti derivano tutti gli altri peccati.

Come sono puniti i superbi nel canto 10 Purgatorio?

Le anime dei superbi percorrono la cornice avanzando curve, mentre portano sul dorso pesanti massi. Con il capo abbassato vedono effigiati al suolo esempi di superbia punita, e se storcono gli occhi osservano sulla parete della roccia, di marmo bianco, bassorilievi che rappresentano esempi di umiltà: la virtù opposta al peccato che stanno espiando. L’umiltà è quell’atteggiamento mentale che, ricordando all’uomo la sua piccolezza, gli insegna ad accettare l’autorità superiore della legge e di Dio.

Per la legge del contrappasso, le anime dei superbi, per espiare il loro peccato, devono avanzare rannicchiati e schiacciati così come da vivi, per la loro arroganza, si sono “innalzati” troppo.

Canto 10 Purgatorio riassunto

La prima cornice del Purgatorio vv. 1-96

Oltrepassata la porta del Purgatorio, Dante, attenendosi al monito dell’angelo guardiano (vedi Purgatorio canto 9), non si volta indietro (a dimostrazione di non avere rimpianti per la peccaminosa vita terrena) e, assieme a Virgilio, riprende a salire sù per la roccia scoscesa. Giunti a un ripiano deserto dopo che è già tramontata la luna, si fermano indecisi sulla via da prendere. Osservando il ripiano, Dante si accorge che la cornice è larga tre volte il corpo umano (circa cinque metri).

Dante osserva che sulla parete del monte sono scolpiti dei rilievi marmorei, raffiguranti tre esempi di umiltà: in questo modo le anime dei superbi, che procedono chine sotto il peso di enormi massi, possono vederli e meditare sulle loro colpe. Le figure sono talmente belle che sembrano quasi parlare. Dante spiega che la bellezza e il realismo di tali sculture sono dovute al fatto che sono opera diretta di Dio e quindi superano in perfezione sia la natura creata da Dio, sia l’arte che imita la natura.

Il primo esempio rappresenta l’Annunciazione dell’arcangelo Gabriele alla Vergine, che accettò umilmente la volontà di Dio rispondendo “Ecce ancilla Dei” (Eccomi sono la serva di Dio).

Il secondo altorilievo raffigura il trasporto dell’Arca dell’Alleanza da Epata a Gerusalemme; insieme è raffigurato anche il momento dell’arrivo nella città santa, quando il re David prende a danzare davanti all’Arca alzando la veste in segno di umiltà verso Dio, mentre sua moglie Micol lo guarda dalla reggia con un atteggiamento di disprezzo, perché pensa che il marito sia privo di dignità regale (tanto David è umile, quanto  Micol è superba).

L’ultima scena ha per protagonsita l’imperatore Traiano in cammino con il suo esercito. Viene fermato da una vedova in lacrime, che gli chiede di vendicare l’assassinio del proprio figlio. L’imperatore risponde che lo farà al ritorno dalla battaglia; la donna gli chiede allora che cosa succederà se lui non tornerà. Traiano promette che in tal caso ci penserà il suo successore. Piena di disperazione, la vedova gli ricorda che la vera grandezza consiste nel compiere umilmente il proprio dovere. L’imperatore, allora, ferma l’esercito e vendica la donna.

La prima schiera dei superbi vv. 97-139

Mentre Dante ammira gli esempi di umiltà, giunge una schiera di anime che avanza lentamente: sono i superbi, di cui non si riesce a distinguere il volto, curvi come sono sotto il peso di enormi macigni. Nel guardarli il poeta rivolge un’apostrofe ai cristiani superbi, che in vita dimenticano di essere creature imperfette, cioè forme transitorie destinate, tuttavia, a formare l’angelica farfalla, cioè l’anima capace di volare verso Dio.

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