Nel canto 15 del Purgatorio Dante e Virgilio passano dalla seconda cornice, dove si trovano le anime degli invidiosi, alla terza cornice, dove espiano le anime degli iracondi.
Canto 15 Purgatorio riassunto
L’angelo della misericordia vv. 1-39
Sono le tre del pomeriggio, Dante e Virgilio proseguono il loro cammino lungo la seconda cornice, quando un riflesso di luce abbagliante costringe Dante a ripararsi gli occhi. Virgilio gli spiega che quella luce proviene dall’angelo della misericordia, che li condurrà alla terza cornice. Una volta raggiunto, l’angelo indica l’accesso a una scala meno ripida delle precedenti, perché mano a mano che ci si avvicna alla purificazione la salita diventa più agevole.
All’inizio della salita, i due poeti sentono cantare alle loro spalle un inno che inneggia alla misericordia, cioè la pietà e la premura verso il prossimo: “Beati misericordes e Godi tu che vinci!” (dalle beatitudini del Vangelo di Matteo).
Virgilio scioglie i dubbi di Dante vv. 40-84
Su richiesta di Dante, Virgilio gli chiarisce il significato dell’affermazione di Guido del Duca nella cornice degli invidiosi relativa al godimento dei beni terreni: “o gente umana, perché poni ‘l core / là ‘v’è mestier di consorte divieto?” (canto 14 Purgatorio, vv. 86-87), ovvero, parafrasando: “o uomini, perché rivolgete l’anima ai beni terreni dove è necessaria (per poterli godere) l’esclusione di altri?”. Questi due versi esprimono sinteticamente il principio secondo cui i beni terreni, a differenza di quelli dello spirito, possono appartenere solo ad uno e non a molti: l’invidia è quindi provocata dall’attaccamento ai beni terreni, mentre, viceversa, se gli uomini mirassero ai beni celesti, l’invidia non avrebbe ragione di essere, perché l’ardore divino si moltiplica in ragione di quante più persone lo amano.
Esempi di mansuetudine vv. 85-145
Giunti intanto alla terza cornice, Dante ha delle visioni, in cui gli si mostrano degli esempi di mansuetudine, virtù contraria all’ira, le cui pene sono espiate nella terza cornice.
Il primo esempio è l’episodio evangelico in cui Maria e Giuseppe, dopo aver perso Gesù fanciullo a Gerusalemme, lo ritrovano dopo tre giorni al Tempio, mentre discute con i dottori del Tempio (Vangelo di Luca 2, 41-46). Maria, nonostante la preoccupazione, si rivolge a Gesù con dolcezza.
Il secondo esempio di mansuetudine è un episodio della storia greca: la figlia del tirannno di Atene Pisistrato era stata baciata per strada da un giovane; la madre vuole che suo marito Pisistrato vendichi l’offesa uccidendo il ragazzo, ma egli, dando prova di mansuetudine, si rifiuta: cosa dovrebbero fare ai loro nemici, se riservano la morte a quelli che li amano?
Il terzo esempio di mansuetudine è il martirio di Santo Stefano, primo martire cristiano, che venne ucciso con la lapidazione fuori dalle mura di Gerusalemme, mentre pregava Dio di perdonare i suoi assassini.
Finite le visioni, Dante si risveglia confuso, Virgilio lo riscuote e, quando il poeta tenta di spiegargli cosa ha visto, lo previene spiegandogli che egli conosce già il contenuto; lo esorta a proseguire il cammino aprendo il suo cuore alla mansuetudine di cui ha visto così mirabili esempi.
Abbagliati dal sole al tramonto, i due procedono a fatica. A poco a poco un fumo nero e denso li avvolge, impedendo la vista e avvelenando l’aria: in esso sono immersi gli iracondi, puniti nella terza cornice.