Il canto 18 del Purgatorio si svolge sulla quarta cornice dove fanno la loro comparsa i penitenti accidiosi, che devono correre incessantemente e affannosamente dopo aver condotto una vita di inerzia, d’indifferenza, di scarsa o nulla passione.
Che cosa succede nel canto 18 Purgatorio?
La natura dell’amore e il libero arbitrio vv. 1-75
Dante chiede a Virgilio di spiegargli cosa sia l’amore e il modo in cui esso dia origine al bene e al male. Virgilio spiega che l’amore è una tendenza istintiva dell’animo verso ciò che piace, ma che tuttavia, se l’intenzione è sempre buona, non sempre lo è il modo di operare.
Dante è colto da un altro dubbio: se è vero che l’amore scaturisce dalle cose fuori di noi, a cui l’anima tende naturalmente, ne consegue allora che gli uomini non sono responsabili delle proprie azioni. Virgilio ammette che la ragione umana può spiegare solo in parte la questione, poiché essa riguarda materia di fede, e pertanto solo Beatrice potrà pienamente rispondere. Virgilio spiega che l’uomo è dotato di ragione e possiede ciò che Beatrice chiama «libero arbitrio», che gli consente di scegliere tra il bene e il male. Quindi suggerisce a Dante di ricordarsene quando la incontrerà.
Gli spiriti accidiosi vv. 76-105
Intanto è quasi mezzanotte. Giunge un gruppo di anime: sono gli accidiosi, che in vita furono lenti nell’amore rivolto al bene e ora avanzano vorticosamente. Dante con una similitudine, paragona la loro corsa a quella dei Tebani, che si dimenavano sulla riva dei fiumi Ismeno e Asopo, in Beozia, quando invocavano il dio Bacco per le loro orge.
Gli accidiosi pronunciano gli esempi di sollecitudine, virtù opposta al loro vizio, l’accidia. Il primo è un episodio evangelico: Maria, non appena seppe della gravidanza della cugina Elisabetta, si affrettò ad andarla a trovare. L’altro esempio è tratto dalle imprese militari di Giulio Cesare, che conquistò rapidamente la Spagna. Le altre anime rispondono spronandosi a vicenda a far presto, affinché lo zelo dimostrato nell’espiazione della pena ravvivi in loro la grazia divina.
L’incontro con l’abate San Zeno vv. 106-129
Virgilio chiede ai penitenti da che parte si trova l’ingresso alla quinta cornice. Uno degli spiriti, continuando a correre, indica la direzione da seguire, e spiega che non possono fermarsi a parlare non per scortesia ma perché spinti a correre dal fervore di purificarsi; poi dichiara di essere stato abate di San Zeno, a Verona, al tempo dell’imperatore Federico Barbarossa, di cui ancora si ricordano con dolore i milanesi, la cui città fu distrutta; profetizza quindi la morte e il pentimento di Alberto della Scala, signore di Verona, colpevole di avere imposto con la forza come abate di quel monastero il proprio figlio illegittimo Giuseppe, deforme nel fisico e ancor più nella mente.
Esempi di accidia punita vv. 130-138
Si avvicinano intanto due anime che proclamano esempi di accidia punita. Il primo esempio riguarda il popolo ebraico, che perì perché, stanco di camminare verso la Terra promessa, si ribellò a Mosé. Il secondo esempio riguarda invece i Troiani al seguito di Enea, che si fermarono in Sicilia e non proseguirono il viaggio verso il Lazio, per evitare rischi e fatiche, condannandosi così ad avere una discendenza priva di gloria.
Allontanatesi queste anime, Dante si lascia andare ai pensieri, si addormenta e comincia a sognare.