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Canto 19 Inferno: i simoniaci – riassunto e spiegazione

Il canto 19 dell’Inferno (canto XIX Inferno) di Dante si svolge nella terza bolgia dell’ottavo cerchio (Malebolge), dove sono puniti i simoniaci, cioè coloro che fecero commercio di cariche religiose e beni spirituali, causando la corruzione della Chiesa.

Come sono puniti i simoniaci?

I simoniaci sono conficcati a testa in giù in buche infuocate mentre le piante dei loro piedi sono lambite dalle fiamme. Quando sopraggiunge un nuovo simoniaco, prende posto facendo sprofondare in basso gli altri, mentre i suoi piedi restano fuori dalla buca e ardono.

Per contrappasso, come in vita essi rivolsero il loro amore ai beni terreni invece di guardare al cielo, ora sono conficcati a testa in giù nella terra; le fiamme che lambiscono i loro piedi sono parodia del fuoco dello Spirito Santo disceso sul capo degli apostoli il giorno di Pentecoste: Simon Mago aveva chiesto all’apostolo Pietro di vendergli, in cambio di denaro, la facoltà di trasmettere lo Spirito Santo attraverso l’imposizione delle mani.

Cosa succede nel canto 19 Inferno?

Terza bolgia: i simoniaci vv. 1-30

Il canto 19 Inferno (canto XIX Inferno) si apre con un’apostrofe di Dante contro Simon Mago e i suoi seguaci, detti appunto simoniaci. Sul fondo di roccia della bolgia ci sono buche circolari simili ai pozzetti del Battistero di Firenze, dove il poeta ricorda di aver salvato un bambino che vi stava soffocando. I dannati stanno in queste buche: la testa e il busto stanno dentro la roccia, invece le gambe stanno fuori e agitano i piedi arsi dalle fiamme. Ogni volta che arriva un nuovo peccatore, questi spinge più giù dentro le fessure della pietra quello che sporgeva fuori, prendendone il posto.

Incontro con papa Niccolò III vv. 31-87

Dante nota un peccatore che agita le gambe e i piedi più velocemente degli altri. Virgilio allora lo conduce in braccio vicino a quella buca, perché possa parlare con il dannato. Dante si china e gli chiede chi egli sia. Il dannato non risponde subito alla sua domanda, perché, meravigliato, crede che Dante sia Bonifacio VIII, giunto a prendere il suo posto, tra i papi simoniaci; si meraviglia però che sia giunto all’Inferno prima del tempo stabilito (Bonifacio muore nel 1303, mentre il viaggio di Dante è immaginato nel 1300, e il dannato, capace, come le altre anime, di prevedere il futuro, pensa che la previsione sia stata sbagliata).

Dante, allora, su consiglio di Virgilio, chiarisce l’equivoco; il dannato quindi si presenta come papa Niccolò III della famiglia Orsini, per favorire la quale ha peccato di simonia. Rivela poi, che altri papi stanno sotto di lui, che il prossimo (Bonifacio VIII) spingerà lui più in basso, e a sua volta sarà sostituito da un altro papa, ancora più colpevole di lui (Clemente V). Quest’ultimo, per ottenere l’elezione al pontificato, si è compromesso con il re di Francia Filippo il Bello, dando di fatto inizio alla “cattività avignonese“, con il trasferimento della Curia pontificia ad Avignone.

Invettiva contro i papi simoniaci vv. 88-117

Dante, sdegnato, pronuncia una violenta invettiva contro le istituzioni ecclesiastiche corrotte. Ricorda la povertà di Cristo e degli apostoli e le profezie dell’Apocalisse; condanna la Donazione di Costantino a papa Silvestro, origine del potere temporale della Chiesa e quindi origine della sua corruzione.

Approvazione di Virgilio e passaggio alla bolgia successiva vv. 118-133

Le parole di Dante turbano Niccolò III, che reagisce scuotendo sempre di più le gambe. Virgilio invece approva in silenzio il comportamento del suo discepolo; lo prende tra le braccia, per evitare i rischi della risalita, e lo riporta sul margine della terza bolgia: ai loro occhi già appare la quarta bolgia, quella degli indovini.

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