Il canto 28 dell’Inferno di Dante si svolge nella nona bolgia dell’ottavo cerchio (Malebolge), dove sono puniti i seminatori di discordia, che provocarono odi e divisioni, soprattutto in campo religioso e politico.
Come vengono puniti i seminatori di discordia?
Come in vita essi seminarono divisioni, discordie e scismi, così, per contrappasso, i loro corpi vengono attraversati da parte a parte da un diavolo armato di spada ogni volta che gli passano di fronte, percorrendo la bolgia come in una lenta ed eterna processione, durante la quale le ferite hanno modo di rimarginarsi.
Chi incontra Dante nel canto 28 dell’Inferno?
Nella nona bolgia dell’ottavo cerchio, Dante incontra Maometto, Pier da Medicina, il tribuno romano Caio Curione, Mosca dei Lamberti, il poeta provenzale Bertran de Born.
Canto 28 Inferno riassunto e spiegazione
La nona bolgia vv. 1-21
Dante e Virgilio sono giunti nella nona bolgia dove sono puniti i seminatori di discordia. A inizio del canto 28 Inferno, Dante dichiara l’impossibilità di descrivere, per la sua varietà e complessità, quanto ha visto nella nona bolgia, che supera le possibilità del linguaggio e dell’intelletto umani. Se anche si mettessero insieme tutti i feriti e il sangue delle principali guerre antiche e moderne, non si riuscirebbe a eguagliare l’orrore della bolgia.
Dante qui fa riferimento alle guerre sannitiche che i Romani combatterono nell’Italia meridionale; alle guerre puniche (in particolare alla seconda) durata diciassette anni, nella quale il cartaginese Annibale sconfisse i Romani nella battaglia di Canne, in Puglia; al normanno Roberto il Guiscardo, nominato duca di Puglia nel 1059, che conquistò parte dell’Italia meridionale nell’arco di vent’anni; a Ceprano, invece, i baroni pugliesi tradirono Manfredi, figlio di Federico II di Svevia, lasciando entrare i francesi di Carlo d’Angiò; nella battaglia di Tagliacozzo, infine, venne sconfitto Corradino, l’ultimo erede degli Svevi, grazie al consiglio del vecchio cavaliere Alardo di Valery, che di fatto determinò la vittoria degli Angioini senza combattere in prima persona.
Dante incontra Maometto nella nona bolgia vv. 22-63
L’attenzione di Dante è attirata da un dannato squarciato dal mento all’inguine, con le interiore che pendono dal corpo. Dice di essere Maometto e indica suo cugino, genero e successore Alì, che ha invece il volto spaccato dal mento alla fronte.
Dante pone Maometto tra i seminatori di discordia, perché nel Medioevo si credeva che egli fosse originariamente un prete cristiano che aveva deciso di staccarsi dalla religione cristiana; l’Islam era considerato dunque frutto di uno scisma. Lo squarcio tremendo che gli attraversa il corpo simboleggia la grave spaccatura all’interno della cristianità. Suo cugino e genero Alì, fondatore di una setta separata all’interno dell’islamismo, è invece spaccato solo dal mento alla fronte.
Maometto spiega a Dante la pena della bolgia: queste orribili ferite, che si rimarginano continuamente, sono provocate dalla spada di un diavolo, davanti alla quale i dannati si presentano di continuo, girando in cerchio nella bolgia.
Virgilio gli spiega poi che Dante è vivo, perciò Maometto gli affida l’incarico di consigliare a frate Dolcino, a capo della setta ereticale degli Apostoli, di procurarsi grandi scorte di cibo, per resistere all’assedio del vescovo di Novara (sappiamo dalle fonti storiche, che fra Dolcino, rifugiatosi su un monte tra Novara e Vercelli con i suoi seguaci, resistette all’assedio fino a quando la neve e la mancanza di cibo lo costrinsero a capitolare; morì condannato al rogo nel 1307).
Pier da Medicina, Curione, Mosca de’ Lamberti vv. 64-111
Allontanatosi Maometto, sopraggiunge un dannato con la gola squarciata e il naso mozzato: si tratta di Pier da Medicina. Questi chiede a Dante di avvertire Guido del Cassero e Angiolello di Carignano, due notabili di Fano, che il tiranno di Rimini, Malatestino Malatesta, tenderà loro un tranello, uccidendoli brutalmente presso Cattolica.
Pier da Medicina mostra poi a Dante il dannato Caio Curione, tribuno romano, che esiliato da Roma, nel 49 a.C. spinse Cesare a varcare il fiume Rubicone e a dare quindi inizio alla guerra civile contro Pompeo. Ora non può più parlare, perché la lingua, di cui ha fatto cattivo uso, gli è stata tagliata.
Si avvicina un altro dannato con le mani mozzate: è Mosca dei Lamberti, fiorentino illustre. Il suo consiglio di uccidere Buondelmonte dei Buondelmonti, che aveva rifiutato di sposare una Amidei, fu all’origine delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, a Firenze. Mosca, nell’apprendere poi da Dante che le lotte interne hanno portato alla rovina anche la sua famiglia, si addolora ulteriormente e si allontana in preda alla rabbia.
Bertran de Born vv. 112-142
Infine avanza la macabra figura del poeta provenzale Bertran de Born, che tiene in mano la propria testa, come se fosse una lanterna. Egli confessa di essere colpevole di aver incitato alla ribellione Enrico il Giovane contro suo padre Enrico II d’Inghilterra, e spiega il contrappasso della sua pena: come separò in vita un figlio da suo padre, così, all’Inferno, è costretto a trascinare la sua testa separata dal corpo.