Il canto 29 dell’Inferno di Dante si svolge nella nona e nella decima bolgia dell’ottavo cerchio. All’apertura del canto, Dante e Virgilio si trovano ancora nella nona bolgia, tra i seminatori di discordia. Tra essi c’è Geri del Bello, un parente di Dante. Poi, i due poeti entrano nella decima e ultima bolgia, dove sono puniti i falsari di metalli. Qui Dante incontra Griffolino e Capocchio, falsi alchimisti (l’alchimia nel Medioevo era considerata una pratica scientifica a tutti gli effetti).
Canto 29 Inferno riassunto e spiegazione
Geri del Bello vv. 1-36
Dante è profondamente turbato: la vista del sangue e delle ferite (vedi canto precedente) lo hanno sconvolto a tal punto che desidera solo piangere.
Virgilio lo richiama, invitandolo a non indugiare nella commozione; Dante però dichiara di essere così scosso anche perché ha timore di incontrare tra i corpi straziati un suo parente, Geri del Bello, che in vita è stato seminatore di discordie. Virgilio lo informa di aver visto un dannato minacciarlo col dito e di averlo sentito chiamare dai compagni di pena Geri del Bello, mentre Dante era impegnato nel colloquio con Bertran de Born (vedi canto precedente). Il poeta osserva addolorato che Geri ha mostrato un atteggiamento indignato nei suoi confronti perché nessuno dei suoi parenti ha ancora vendicato la sua morte (al tempo di Dante la vendetta privata era ammessa ed era, anzi, considerata un dovere civile).
Decima bolgia: i falsari vv. 37-72
Nel frattempo, Dante e Virgilio sono giunti al ponte della decima bolgia (l’ultima dell’ottavo cerchio, detto Malebolge). I strazianti lamenti, che da lì provengono, costringono Dante a coprirsi le orecchie con le mani. Questi lamenti sono paragonati da Dante a quelli che si sentirebbero se si riunissero insieme i malati di malaria delle zone più colpite da questa malattia, nel periodo dell’anno di maggiore diffusione, cioè l’estate. Ma oltre alle grida di dolore, dalla bolgia proviene un puzzo di corpi in decomposizione.
I peccatori dell’ultima bolgia sono i falsari di metalli, colpiti da orribili malattie: per contrappasso, come in vita alterarono la realtà, ora il loro aspetto è alterato da malattie deturpanti. Giacciono in gruppi: chi sul ventre; chi trascinandosi carponi; chi appoggiandosi alle spalle degli altri. Sono talmente indeboliti dalle malattie che non riescono neanche a stare in piedi. In particolare, gli alchimisti sono coperti di lebbra o scabbia e quindi costretti a grattarsi non riuscendo però a procurarsi nessun sollievo.
Griffolino d’Arezzo e Capocchio vv. 73-139
Dante nota una coppia di dannati seduti vicini come per riscaldarsi; i loro corpi sono ricoperti di croste, che i due sono intenti a grattare via per cercare sollievo all’insopportabile fastidio. Virgilio chiede se ci sono italiani nella bolgia e rivela che è in compagnia di un vivo. Questa notizia sconvolge tutti i dannati lì presenti.
Il primo a presentarsi è Griffolino d’Arezzo, alchimista che venne messo al rogo come eretico dal vescovo di Siena, perché aveva promesso scherzosamente ad Alberto da Siena di insegnargli a volare. Dante commenta l’episodio ricordando la proverbiale frivolezza e stupidità dei senesi. L’altro dannato interviene immediatamente per menzionare alcuni senesi scialacquatori. Si rivela poi come l’anima di Capocchio da Siena, famoso alchimista falsario di metalli e noto personalmente al poeta.
Anche il canto seguente si svolge nell’ultima bolgia dei falsari.