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Canto 5 Purgatorio riassunto

Il canto 5 del Purgatorio si svolge nel secondo balzo dell’Antipurgatorio. Qui si trovano le anime di coloro sono morti di morte violenta e si sono pentiti solo in fin di vita. Come i pigri del primo balzo (canto 4 del Purgatorio), devono attendere nell’Antipurgatorio un tempo pari alla loro vita prima di salire a purificarsi sulle cornici del Purgatorio. Camminano lentamente come in processione, cantando in coro il Miserere.

Che cosa succede nel canto 5 Purgatorio?

Incontro con i morti di morte violenta vv. 1-63

Mentre i due poeti riprendono la salita, una delle anime si accorge che il corpo di Dante getta ombra e lo segnala con stupore ai compagni. Dante, sentendosi osservato, rallenta il passo ma Virgilio lo rimprovera: non deve perdere tempo e non deve distrarsi, ma continuare senza esitazioni il percorso di purificazione.

Intanto sopraggiungono dalla parte opposta numerose anime che cantano il Miserere. Anche queste si accorgono che il corpo di Dante fa ombra. Virgilio spiega loro che Dante è ancora vivo. Le anime rivelano a Dante di essere tutte morte per atti violenti e di essersi pentite solo in punto di morte. Dante non riconosce nessuno, ma promette di portare notizie di loro nel mondo dei vivi, perché solo le loro preghiere potranno accorciare la durata della permanenza nell’Antipurgatorio. Allora tre anime si rivolgono a lui per narrare la loro vicenda.

Jacopo del Cassero, Buonconte da Montefeltro, Pia dei Tolomei vv. 64-136

Il primo a parlare è lo spirito di Jacopo del Cassero (1260-1298), nobile signore marchigiano, ucciso nelle paludi fra Venezia e Padova dai sicari di Azzo VIII d’Este, signore di Ferrara, da cui si illudeva di poter ottenere protezione. Si raccomanda a Dante di ricordare il proprio destino ai parenti e ai conoscenti di Fano, perché preghino per lui così da accorciare il tempo da trascorrere nell’Antipurgatorio.

Il secondo è Buonconte da Montefeltro (1250 circa-1289), figlio di Guido da Montefeltro che Dante aveva incontrato in Inferno canto XXVII. Si lamenta di non essere ricordato da nessuno dei suoi parenti, compresa sua moglie Giovanna (v.89). Su richiesta di Dante, racconta di aver combattuto nel 1289 nella battaglia di Campaldino fra i Ghibellini, la stessa battaglia dove Dante militava tra i Guelfi. Una volta morto, egli invocò la Madonna e il suo spirito fu affidato a un angelo; ma poi sorse una disputa fra l’angelo e il diavolo per il possesso della sua anima: l’angelo affermava che lui doveva avere l’anima perché Buonconte si era pentito, mentre il diavolo sosteneva che fosse un’ingiustizia perdonarlo dopo una vita trascorsa nel peccato. Alla fine, il diavolo, sconfitto, sfogò la sua rabbia provocando piogge torrenziali che ne trascinarono e ne dispersero il corpo nell’Arno.

Infine, parla la senese Pia dei Tolomei, assassinata dal marito dopo le nozze; essa si raccomanda a Dante con parole cortesi e nobili.

 

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