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Canto notturno di un pastore errante dell’Asia riassunto

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia riassunto: un immaginario pastore nomade della steppa asiatica si rivolge alla luna e le pone una serie di domande sul destino umano, sono domande universali, fondamentali per ciascun uomo: qual è il fine della vita? chi sono io? che senso ha l’esistenza dell’Universo? Forse la Luna, appartenendo al mondo celeste, conosce le risposte; ma l’uomo a causa della sua natura, è di certo condannato all’ignoranza per tutto il tempo della sua esistenza. Questo è il messaggio che Leopardi trasmette attraverso il pastore, che si fa portavoce della visione del mondo di Leopardi.

Canto notturno di un pastore errante dell’Asia riassunto strofa per strofa

In questa poesia dunque Leopardi immagina che un immaginario pastore nomade della steppa asiatica, durante una veglia notturna, interroghi la Luna sui misteri della vita e dell’Universo.

Prima strofa

La prima strofa introduce un paragone tra la vita monotona del pastore, (che sempre a che fare con le proprie bestie, con le sorgenti dove esse si abbeverano e con l’erba che brucano) e il corso sempre uguale della Luna. Il pastore chiede alla Luna: non sei ancora sazia di percorrere di continuo le eterne, e sempre uguali, vie del cielo? Non ti è venuto a noia e, anzi, sei ancora desiderosa di ammirare dall’alto queste sterminate pianure? Il pastore anche se coglie la differenza essenziale tra la vita umana (breve e temporanea) e l’esistenza degli astri (eterna e immortale), nella sua domanda pone l’una e l’altra sul medesimo piano perché entrambe gli paiono prive di senso.

Seconda strofa

Nella seconda strofa, il pastore illustra alla Luna la vita umana, concentrando la propria attenzione sulla sua fase finale: un vecchio, in condizioni di vita precarie, che continua ad affannarsi per poi precipitare nell’abisso della morte, una voragine senza fondo che inghiotte l’uomo cancellando ogni traccia della sua vita.

Terza strofa

La terza strofa mette in evidenza come la gravidanza e il parto siano pericolosi e come, nella percezione stessa dei genitori, la vita sia un male. Fin dalla nascita infatti il bambino piange disperato e il padre e la madre cominciano a consolarlo per il fatto di essere venuto al mondo, per compensare in qualche modo alla terribile colpa che hanno commesso mettendo al mondo un nuovo infelice. Che senso ha (si chiede allora il pastore rivolgendosi alla Luna) mettere al mondo creature che poi bisogna per tutta la vita consolare di essere nate? E perché, se la vita è solo dolore e sofferenza, la sopportiamo e non la facciamo per sempre finita? Ma poi, improvvisamente, al pastore viene in mente che la Luna ha poco da spartire con lui: egli infatti è un “mortale”, mentre la Luna è immortale e quindi, forse, poco le importa delle preoccupazioni e delle angosce degli esseri umani.

Quarta strofa

Nella quarta strofa il pastore pensa e dice che la Luna ha «certo» quella superiore conoscenza che le permette di conoscere il senso del mondo, del tempo, della vita dell’uomo; per lui invece la vita è priva di scopo e di utilità, è solo una condizione di dolore.

Quinta strofa

Nella quinta strofa l’attenzione passa dalla Luna, oggetto celeste superiore all’uomo, al gregge, formato da animali senza coscienza. Attraverso la voce del pastore, Leopardi riflette dunque su tutto il cosmo. La condizione delle bestie, tuttavia, risulta migliore: esse non hanno memoria del dolore, non hanno paura della morte e soprattutto non provano la noia, quella sensazione angosciante di insoddisfazione propria dell’essere umano, che gli impedisce di essere tranquillo e sereno e che invece le bestie non conoscono.

Sesta strofa

Nella strofa conclusiva il pastore riflette e dice che se vivesse una vita diversa, se fosse un uccello che vola sopra le nubi e potesse contare ad una ad una le stelle del cielo o se potesse vagare di vetta in vetta come il tuono, forse sarebbe felice. Ma poi, dopo aver vagheggiato questi sogni impossibili, il pastore riconosce che «forse» anche così non cambierebbe nulla, perché il male del vivere colpisce chiunque viva: sia che uno nasca dentro un «covile» (e sia dunque un animale) e sia che nasca dentro una «cuna», cioè dentro una culla (e sia dunque un essere umano), il giorno della nascita è causa solo di dolori e di lutti («È funesto a chi nasce il dì natale»).

La poesia Canto notturno di un pastore errante dell’Asia si chiude quindi su questo verso sentenzioso ed epigrafico in cui non brilla alcuna luce di speranza.

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