Carme 101 di Catullo (Sulla tomba del fratello): riportiamo il testo originale latino, la parafrasi letterale e il commento
Catullo, ritornando da un viaggio in Bitinia nella primavera del 56 a.c., passò per la Troade, dove era sepolto suo fratello, e rese omaggio alla sua tomba con offerte rituali. Questo componimento, il Carme 101, dal tono mesto e addolorato, costituisce l’estremo saluto al fratello.
Carme 101 di Catullo – Multas per gentes
Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem,
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
heu miser indigne frater adempte mihi.
Nunc tamen interea haec prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frate, ave atque vale.
Carme 101 di Catullo – parafrasi letterale
Dopo aver viaggiato (vectus) attraverso molti popoli (per multas gentes) e attraverso molti mari (per multa aequora), o fratello (frater), giungo (advenio) per queste dolorose offerte funebri (ad has misera inferias), per offrirti (ut te donarem) l’ultimo dono che si dà ai morti (postremo munere mortis) e parlare vanamente (alloquerer nequiquam) a una muta cenere (mutam cinerem), giacché (quandoquidem) la sorte (fortuna) mi ha strappato proprio te (mihi abstulit tete ipsum), oh infelice fratello (heu miser frater) immeritatamente (indigne) sottratto a me (adempte mihi).
Ora tuttavia (nunc tamen interea) ricevi (accipe) questi doni (haec) che secondo l’antico uso dei nostri avi (quae prisco more parentum) sono stati consegnati (tradita sunt) come dolorosa offerta per il rito funebre (tristi munere ad inferias), [ricevili] bagnati di molto pianto fraterno (multum manantia fraterno fletu), ed in eterno (in perpetuum), fratello mio, addio e ancora addio (ave atque vale).
Carme 101 di Catullo – commento
Il poeta, ritornando da un viaggio in Bitinia nella primavera del 56 a.C., coglie l’occasione per visitare la tomba del fratello, morto qualche anno prima. Dal confronto con gli altri carmi ispirati allo stesso avvenimento luttuoso, i carmi 65 e 68, nei quali il poeta si esprimeva con toni disperati pieni di sofferenza e di dolore, in questo carme il tono pare improntato a rassegnazione e stanchezza, e testimonia uno stato d’animo che trascende il motivo specifico della morte del fratello per farsi espressione di una crisi ben più profonda, che investe il poeta nella sua totalità.
Catullo infatti afferma che ogni rito è inutile di fronte alla morte: le «ceneri mute» (mutam cinerem) del fratello non possono rispondere alle parole commosse del poeta, per questo la lirica si chiude con un doloroso addio.