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Cartesio e il Cogito ergo sum

Cartesio (René Descartes), il filosofo del “Penso dunque sono” (“Cogito ergo sum“) nasce il 31 marzo 1596 a La Haye, nella Touraine.

Nel 1604 entra nel collegio dei Gesuiti di La Flèche e qui rimane fino al 1612. In seguito, nel Discorso sul metodo, Cartesio stesso condurrà una serrata critica ai metodi e ai contenuti dell’educazione ricevuta nel collegio di Gesuiti, ritenendoli  non adatti a promuovere lo spirito critico degli allievi.

Tra il 1619 e il 1630 Cartesio compone Regole per dirigere l’ingegno. In questo periodo Cartesio è nella milizia e partecipa alla Guerra dei trent’anni, ma il costume militare del tempo lascia ai nobili ampia libertà e il filosofo può quindi viaggiare a suo piacimento per tutta l’Europa, dedicandosi agli studi di matematica e di fisica, e continuando al elaborare una propria dottrina del metodo.

Nel 1628 si stabilisce in Olanda, sia per godere di quella libertà filosofica e religiosa che è caratteristica del paese sia per poter lavorare a proprio agio, senza essere distratto da quegli obblighi di società che a Parigi e in provincia gli ruberebbero molto tempo.

Nel frattempo ha iniziato a comporre un trattato di metafisica e ha ripreso lo studio della fisica: pensa di scrivere un trattato sul mondo e di intitolarlo Trattato della luce. Ma la condanna di Galilei (22 giugno 1633) lo induce ad abbandonare l’idea di pubblicare l’opera, nella quale sostiene la dottrina copernicana.

In seguito sceglie di divulgare almeno alcuni dei risultati raggiunti, articolandoli nei tre saggi sulla Diottrica, sulle Meteore, e sulla Geometria; a queste tre opere premette una prefazione intitolata Discorso sul metodo, pubblicata a Leida nel 1637.

Riprende poi, e conclude, la stesura del trattato di metafisica pubblicato nel 1641 con il titolo Meditazioni sulla filosofia prima.

Più tardi Cartesio rielabora il trattato sul mondo dandogli la forma di un sommario destinato alle scuole: i Principi di filosofia (1644).

La corrispondenza intrattenuta con la principessa Elisabetta del Palatinato gli suggerisce poi l’idea della monografia psicologica Le passioni dell’anima, pubblicata nel 1649. In questo stesso anno il fiolosofo cede ai ripetuti inviti della regina Cristina di Svezia e va a stabilirsi presso la sua corte. Nell’ottobre egli giunge a Stoccolma, ma nel rigido inverno nordico si ammala di polmonite e l’11 febbraio 1650 muore.

Cartesio nei suoi scritti parla in prima persona: non vuole insegnare, ma descrivere se stesso.
Il suo disagio nasce dal senso di disorientamento avvertito al termine della scuola di La Flèche, presso la quale aveva assimilato con successo il sapere del suo tempo senza acquisire, tuttavia, alcun criterio per distinguere il vero dal falso. Infatti, Cartesio afferma che la filosofia debba essere non puramente speculativa, ma anche pratica, per la quale l’uomo possa rendersi padrone e possessore della natura.

Di conseguenza il metodo deve essere un criterio di orientamento unico e semplice, che aiuti l’uomo tanto in campo teorico quanto in campo pratico e che abbia come ultimo fine il vantaggio dell’uomo nel mondo.
Questo è ciò che scrive nelle Regole per dirigere l’ingegno assieme alla consapevolezza che la saggezza umana è una sola, quali siano gli oggetti a cui si applica, perché uno è l’uomo nelle sue svariate attività.

Essendo la matematica già in possesso del metodo, basterà comprenderlo, astrarlo, giustificarlo e ricondurlo all’uomo.

Quelle che seguono sono le regole del metodo cartesiano:

  • evidenza: accettare come vero solo ciò che risulta evidente, ossia chiaro e distinto, escludendo ogni elemento su cui sia possibile qualche forma di dubbio;
  • analisi: suddividere ogni problema complesso nei suoi elementi più semplici;
  • sintesi: risalire dal semplice al complesso;
  • enumerazione e revisione: enumerare tutti gli elementi individuati mediante l’analisi e rivedere tutti i passaggi della sintesi.

Il metodo, però, non ha in sé la propria giustificazione, ma esige di essere filosoficamente legittimato. Risale, perciò, all’uomo come soggettività, o come ragione.

Cartesio ritiene sia necessario operare una critica radicale di tutto il sapere già dato e, quindi, dubitare di tutto e considerare almeno provvisoriamente come falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile. Se si troverà un principio che resiste al dubbio, esso sarà saldissimo tale da poter essere assunto a fondamento di tutte le altre conoscenze. Da qui il nome del dubbio metodico, che inizialmente riguarda le conoscenze sensibili, ma che con l’ipotesi del genio maligno – una potenza malvagia, che avrebbe potuto creare l’umanità (non essendo l’uomo a conoscenza della propria origine), facendoci apparire chiaro ed evidente ciò che è falso e assurdo –  si estende anche alle conoscenze matematiche e diviene dubbio iperbolico o universale.

L’unica verità che si sottrae al dubbio (in quanto il dubbio stesso la conferma) è la seguente: cogito ergo sum¹ (penso dunque sono). Una dichiarazione rivoluzionaria rispetto al credo filosofico-teologico allora dominante, che poneva al centro non la relatività e la responsabilità del soggetto, ma l’autorità di Dio e della legge religiosa.

¹Cogito ergo sum “Penso dunque sono”; la celebre massima è parte di una frase più ampia del filosofo francese Cartesio che recita dubito ergo sum, vel quod item est, cogito ergo sum, “dubito dunque sono, o ciò che è lo stesso, penso dunque sono”.

L’espressione significa che posso dubitare di tutto, ma non del fatto che sto dubitando, cioè che sto pensando; ma se penso (cogito) esisto (sono) (sum), quindi la capacità di dubitare fonda la certezza di esistere.

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