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Celestino V, colui che fece per viltade il gran rifiuto

Celestino V, ovvero il monaco eremita Pietro da Morrone, originario del Molise, viene eletto papa, col nome appunto di Celestino quinto, il 5 luglio 1294.

La vera storia di Celestino V

Quando Pietro da Morrone sale sul soglio papale, rimasto vuoto per due anni dopo la morte di Niccolò IV, è un ottantenne, vissuto a lungo sul monte Morrone vicino a Sulmona. Qui ha fondato un ordine, quello degli eremiti di San Damiano, chiamati poi «Celestini».

La sua ascesa al soglio pontificio avviene in modo singolare.

Pietro da Morrone, infatti, aveva mandato una lettera invocando punizioni divine sui cardinali ed esortandoli affinché eleggessero prima possibile un papa. Il conclave inaspettatamente decise di eleggere proprio l’autore della missiva.

I cardinali vogliono papa Celestino V a Perugia, ma Carlo II d’Angiò lo porta con sé a Napoli.

Il povero eremita non è esperto in politica ecclesiastica e segue i voleri del re francese. Così, in un solo giorno crea sette cardinali francesi; dà poi l’arcivescovado di Lione al figlio ventenne del re e infine si schiera contro i Benedettini di Montecassino.

Come mai Celestino 5 rinunciò al papato?

Dopo solo pochi mesi, però, papa Celestino 5, inesperto e nuovo agli intrighi della politica pontificia, amareggiato dai compromessi del potere e su pressione della stessa Curia, si dimette.

Cosa succede dopo il “gran rifiuto”?

Su insistente consiglio del cardinale Caetani (il futuro papa Bonifacio VIII), si ritira nel monastero di Montecassino.

Presto però si rende conto di essere in una prigione e nel febbraio del 1295 si rifugia sul monte Morrone.

Inseguito dalle guardie di Benedetto Caetani, ora papa Bonifacio VIII, fugge poi a Vieste in Provincia di Foggia. Catturato da Carlo Martello, il figlio di Carlo II d’Angiò, viene rinchiuso nel castello di Fumone (provincia di Frosinone, Lazio). Qui Celestino V muore il 19 maggio 1296. Verrà poi canonizzato nel 1313. Storici contemporanei ipotizzano che sia stato ucciso in carcere.

Papa Celestino V nella Divina Commedia

Forse è Celestino V colui che Dante Alighieri pone nel Terzo Canto dell’Inferno della Divina Commedia, identificandolo con i versi (58-60): «Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto».

Se così fosse Dante attribuirebbe a Celestino V la responsabilità di aver favorito, con la sua rinuncia, l’ascesa al soglio pontificio dell’odiato Bonifacio VIII artefice, con le sue trame, della vittoria dei Guelfi di parte nera a Firenze e del conseguente esilio di Dante.

Secondo alcuni interpreti, però, Dante non si sarebbe mai scagliato con tanto sdegno contro un papa che con la sua scelta, tutto sommato, si era opposto alla corruzione delle istituzioni pontificie.

Altri commentatori hanno invece identificato il personaggio (“colui che fece per viltade il gran rifiuto”) con Esaù, figlio maggiore di Isacco e Rebecca e fratello gemello di Giacobbe. Secondo l’Antico Testamento, infatti, Esaù rinunciò ai diritti di primogenito in cambio di un piatto di lenticchie offertogli dal fratello.

Altri ancora infine hanno pensato a Ponzio Pilato, governatore romano della Palestina, che lasciò alla folla la decisione della crocifissione di Cristo.

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