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Cerbero nella Divina Commedia

Cerbero nella Divina Commedia è presente solo nel canto VI dell’Inferno. È un demone-guardiano, mostruoso cane dalle tre teste, che ha l’incarico di controllare i dannati (i golosi) del terzo cerchio e di dilaniarli con i suoi terribili artigli.

Dante quindi gli assegna la funzione non solo di guardiano del terzo cerchio dell’Inferno, ma anche di strumento della punizione divina. Cerbero assorda i dannati con i latrati (e i golosi urlano «come cani»), li graffia, li scuoia, li squarta (così come i golosi in vita avevano squartato i cibi).

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Perché Dante sceglie Cerbero come guardiano dei golosi?

Nella cultura medievale il cane era considerato un animale vorace, sempre affamato: per questo motivo Dante fa sorvegliare i golosi da Cerbero, simbolo della voracità insaziabile e indica, nello stesso tempo, con i tratti dell’aspetto (occhi rossi, barba sudicia, mani unghiate, ventre obeso) le conseguenze del vizio della gola.

Come viene descritto Cerbero nella Divina Commedia?

Nell’Inferno della Divina Commedia è descritto come un cane con tre teste. Le sue tre teste rappresentano superbia, invidia e avarizia, i tre mali che scatenano la ferocia delle fazioni in lotta a Firenze. Ha occhi rossi, i peli del muso sporchi e neri, il ventre largo e le zampe artigliate; emette latrati, che assordano i dannati e ciò acuisce il loro tormento.

Alla vista di Dante e Virgilio Cerbero, descritto in maniera spregiativa come il «gran vermo», apre la bocca, mostra le «sanne» (zanne) e non rimane immobile per un istante, ma Virgilio lo rabbonisce facilmente gettandogli del fango nelle tre fauci. Dante mostra così la voracità bestialmente stupida di Cerbero, pronto a ingoiare qualsiasi cosa; il fatto che si tranquillizzi dopo aver mangiato del fango lo rende estremamente caricaturale.

Differenze tra Cerbero dantesco e virgiliano

Nella mitologia classica è il figlio di Echidna e di Tifeo, era un cane con tre teste ricoperte di serpi e con coda di serpente. Posto a guardia dell’Ade, il regno dei morti, doveva impedire che le ombre risalissero in quello dei vivi. Dante lo conosceva soprattutto per il racconto di Virgilio. Nel libro VI dell’Eneide, Cerbero si oppone alla discesa agli Inferi di Enea; la Sibilla, che guida Enea nel regno dei morti, lo mette allora a tacere gettando nelle fauci del terribile mostro una focaccia di farina, miele ed erbe soporifere, che lo fanno addormentare.

Dante lo pone a custodia del terzo cerchio, dove sono puniti i golosi. Appena vede i due poeti si avventa contro di loro, ma Virgilio gli getta in gola una manciata di fango, che placa la sua fame: quindi in maniera analoga all’episodio dell’Eneide, solo che qui Dante ne fa un mostro di forma diversa, più simile a un demone antropomorfo con triplice testa canina, facce lorde, barba sudicia, occhi rossi di ira, mani artigliate, in un corpo di cane dalla pancia grossa.

 

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