L’epicureismo è una dottrina filosofica formulata dal filosofo Epicuro tra la fine del IV secolo e l’inizio del III secolo a.C.
Epicuro era nato nel 341 a.C. nell’isola di Samo (la stessa nella quale era nato Pitagora). Studiò in Asia Minore e nel 306 a.C. fondò la sua scuola ad Atene, in un giardino che si trovava accanto alla casa dove viveva. Lì erano ospitati i suoi discepoli, tra cui erano ammessi anche gli schiavi e le donne. Dei suoi scritti restano tre lettere dottrinali e una raccolta di Massime capitali.
Epicuro riprende la concezione materialistica della natura di Democrito. Tutto ciò che esiste è costituito da atomi che si muovono nel vuoto e, deviando casualmente dalla verticale, si aggregano dando origine ai corpi, sia terreni che celesti.
L’epicureismo non esclude l’esistenza della divinità, ma ciò che è divino non agisce, né patisce. La beatitudine degli dèi consiste in uno stato di imperturbabilità e di totale indifferenza rispetto alle vicende umane. Perciò non ha alcuna ragione di esistere la paura degli dèi, che tanto angustia gli uomini; né la paura della morte, poiché l’anima, formata di atomi di aria e di fuoco, si disgrega anch’essa con la morte del corpo.
Su questi presupposti Epicuro fonda una morale della serenità, in cui la felicità e il piacere sono concepiti come controllo del dolore fisico e morale. «Quando diciamo che il fine è il piacere – scrive Epicuro – non intendiamo i piaceri dei dissoluti e dei gaudenti, ma il non soffrire quanto al corpo e il non essere turbati nell’anima». E poiché le azioni umane non sono determinate dagli dèi o dal fato, dalla necessità, ma dalla volontà e dalle passioni, è possibile soddisfare i bisogni necessari e naturali ed eliminare i bisogni e i desideri superflui.
Assenza di turbamento (apátheia) e assenza di dolore (aponía) sono obiettivi morali da conseguire attraverso la conoscenza e il dominio interiore.
Mentre lo stoicismo trovò, per certi aspetti della sua etica, un terreno fertile di diffusione, la filosofia di Epicuro fu subito guardata con sospetto, perché considerata pericolosa per gli equilibri sociali e politici della res publica: la ricerca del piacere (inteso tuttavia in maniera riduttiva come apátheia, assenza di turbamento, e aponía, assenza di dolore); l’indifferenza verso la pubblica considerazione e tutto ciò che serviva a procurarsela (cariche politiche, successi militari ecc.); la necessità di liberarsi da false credenze erano insegnamenti che entravano in conflitto con il mos maiorum.
Tuttavia l’epicureismo sopravvisse e tra il II e il I secolo a.C. si diffuse a tutti i livelli. Ma l’etichetta di epicureo si prestò ad altri usi polemici e impropri, che fraintendevano il pensiero del filosofo greco. Il poeta latino Orazio (65-8 a.C.), si definiva ironicamente «un grasso porco del gregge di Epicuro», testimoniando l’incomprensione cui quella dottrina era soggetta. Cicerone bollava i divulgatori della filosofia epicurea come edonisti e in più come scrittori superficiali e sciatti che allettavano il pubblico con facili promesse di felicità.
L’epicureismo incontrò la violenta opposizione dei filosofi cristiani, tanto che per tutto il Medioevo epicureo fu sinonimo di ateo e di libertino. Ma già nell’Umanesimo è visibile un atteggiamento di simpatia per l’etica epicurea, preferita a quella stoica. Le ragioni risiedono nella progressiva affermazione di un ideale laico di saggezza, basato su una concezione ottimistica della natura e dell’uomo e sull’equilibrio tra razionalità e piacere dei sensi.