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Chi era Brunetto Latini amico di Dante?

Brunetto Latini (Firenze, 1220 circa – Firenze, 1294) è un uomo di lettere ma esercita anche la professione notarile e, tornato dal suo esilio in Francia tra il 1260 e il 1266, ricopre prestigiose cariche nel governo di Firenze fino alla sua morte.

È di parte guelfa. Si trova in Francia, di ritorno da un’ambasceria presso Alfonso X di Castiglia, quando è sorpreso dalla notizia della sconfitta dei Guelfi nella battaglia di Montaperti (1260). E preferisce rimanere in Francia. Qui scrive in provenzale Livres dou Tresor (o Tesoro), una sorta di enciclopedia che raccoglie le conoscenze dell’epoca. L’opera ha un enorme successo.

La sconfitta dei Ghibellini nella battaglia di Benevento (1266) gli permette di tornare a Firenze, dove riveste numerose cariche. Inizia a comporre il Tesoretto, un poemetto allegorico e morale, che resta incompiuto. Protagonista del poema è lo stesso Brunetto, che di ritorno a Firenze dalla Spagna si smarrisce in una «selva orribile» e alla ricerca della saggezza attraversa i regni della Natura, della Virtù, dell’Amore. Non può sfuggire l’analogia con la Divina Commedia, e l’opera viene quindi considerata un importante antecedente del capolavoro dantesco.

Insegna pure retorica e ha Dante tra i suoi occasionali allievi.

Brunetto Latini è inoltre autore di un altro breve poemetto, Il Favolello, epistola in versi all’amico e poeta Rustico di Filippo sull’amicizia; della Rettorica, volgarizzazione e commento di una parte del De inventione di Cicerone.

Brunetto Latini nell’Inferno di Dante

Dante lo incontra nel terzo girone del settimo cerchio dell’Inferno (canto XV) tra i sodomiti, ma mostra per lui vera gratitudine e sincera devozione, al punto di accennare una carezza al suo volto e tenere la faccia rivolta verso il basso in segno di deferenza; lo dipinge inoltre come un maestro di virtù filosofiche e civili (Inferno XV, 22-99).

Brunetto lo esorta a sopportare l’esilio incombente e al momento del commosso addio gli dice «Sieti raccomandato il mio Tesoro» (v. 119), che è anche l’unica opera poetica citata nell’Inferno, a parte l’Eneide di Virgilio.

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