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Cicerone – La Pro Caelio, riassunto

La Pro Caelio è tra le più significative orazioni pervenute di Marco Tullio Cicerone (per un approfondimento leggi Le orazioni di Cicerone, schema riassuntivo).

Questo che segue è il riassunto del processo, delle accuse, della strategia difensiva di Cicerone e del suo attacco a Clodia.

Pro Caelio riassunto

Il 4 aprile del 56 a.C. si celebrò a Roma un processo molto importante contro Marco Celio Rufo, allievo e amico di Cicerone.

Tre gli oratori che sostenevano l’accusa: il giovane Lucio Sempronio Atratino, Erennio Balbo e Publio Clodio (liberto omonimo del tribuno nemico di Cicerone).

Marco Licinio Crasso, Cicerone, e lo stesso Marco Celio, erano invece i difensori.

Lucio Sempronio Atratino aveva motivi di odio contro Celio. Celio aveva infatti accusato di corruzione elettorale Calpurnio Bestia, padre di Atratino. Sebbene Calpurnio Bestia fosse stato assolto, Celio si fece promotore contro di lui di un nuovo procedimento, che non ebbe luogo perché lo stesso Celio fu portato sul banco degli imputati.

La principale accusa mossa a Celio era di aver preso parte all’uccisione di Dione, un filosofo alessandrino a capo di un’ambasceria inviata a Roma per impedire che Tolomeo Aulete (100 a.C. – 51 a.C.) fosse rimesso sul trono egiziano.

Tolomeo, secondo l’accusa, avrebbe corrotto Celio perché rendesse inefficace la missione diplomatica. Ma, con l’intento di mettere in cattiva luce Celio mostrandone l’indole corrotta, si aggiungevano altre accuse minori: l’amicizia con Catilina, l’accusa di brogli elettorali, di debiti, di sperpero di denaro, di violenza nei confronti di un senatore, che sarebbe stato bastonato da Celio, infine di molestie sessuali ai danni di matrone che di notte tornavano alle loro case dopo una cena.

Cicerone nella sua arringa dedica pochissimo spazio a questa raffica di accuse, considerate più maligne mormorazioni che fatti di rilevanza processuale; allo stesso modo non si dilunga sull’accusa principale, già confutata da Crasso.

L’obiettivo di Cicerone è invece concentrarsi su Clodia, vedova di Q. Cecilio Metello Celere, luogotenente di Pompeo in Asia nel 66 a.C., pretore nel 63, console nel 60. La morte improvvisa, avvenuta nel 59, fece nascere in molti il sospetto che fosse stato avvelenato dalla moglie. Clodia era altresì la sorella di Clodio (acerrimo nemico del grande oratore) e la donna da tutti indicata come la famosissima amante di Catullo da lui cantata con il nome di Lesbia.

Clodia è la principale testimone a carico dell’accusa: Celio avrebbe chiesto e ottenuto denaro e gioielli da Clodia con il pretesto di organizzare giochi pubblici, ma la donna scoperto il loro impiego per l’esecuzione dell’assassinio di Dione, divenuta pericolosa testimone, avrebbe subito un tentativo di avvelenamento da parte dell’imputato.

Cicerone abilmente cerca di smontare le accuse insinuando il sospetto che l’ispiratrice occulta di tutta questa vicenda è Clodia, che ha avuto una relazione amorosa con Celio e si è inviperita per essere stata lasciata da lui.

Da avvocato difensore Cicerone si trasforma in accusatore. Clodia viene attaccata dall’oratoria ciceroniana, un’oratoria vivissima, attenta alle sfumature per una difesa efficace, fondata sull’ironia e sul sarcasmo, ricca di escamotages.

Cicerone, infatti, per accattivarsi la benevolenza dei giudici e nel tempo stesso per sminuire l’importanza del processo, nell’esordio ricorda che questo si svolge in un giorno di festa.

A Roma, infatti, il 4 aprile del 56 a.C. ricorrono i ludi Megalenses in onore della dea Cibele e la gente vuole distrarsi e divertirsi. E invece i giudici, forse i soli nell’intera città, devono lavorare e assolvere i loro compiti istituzionali. Sono chiamati a lavorare in un giorno di festa perché, nientemeno (e qui dobbiamo immaginare i gesti delle mani e i cenni del volto di Cicerone, che contribuiscono a dare l’idea di una situazione inverosimile e assurda), un giovane (Lucio Sempronio Atratino) vuole vendicare il padre (Calpurnio Bestia) e, soprattutto, perché una meretrix (Clodia) vuole farla pagare all’amante che l’ha abbandonata.

I colpi che Cicerone sferra a Clodia sono davvero duri. È risaputo che Clodia è una donna dissoluta, amante di tutti e amoreggiare con una prostituta non è un crimine. È arrivata a possedere un giardino sul Tevere per poter scegliere ogni giorno un nuovo amante tra i giovani che vanno a fare il bagno nel fiume.

Possiamo poi facilmente immaginare gli sguardi ammiccanti che si incrociano tra i presenti e i sorrisetti compiaciuti di quanti ascoltano con aria divertita le parole dell’oratore che con malizia ironica, tono garbato e belle maniere di facciata accenna velatamente ai rapporti incestuosi tra Clodia e il fratello che tante chiacchiere avevano fatto nascere: «… se non ci fosse di mezzo l’odio fra me e il marito – il fratello – volevo dire; qui faccio sempre lo stesso errore».

Alla fine, il giovane Marco Celio viene assolto mentre Clodia ancora oggi è additata – anche per l’identificazione con la Lesbia di Catullo – come un modello di donna corrotta.

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