La civiltà romana ha lasciato in Italia e in Europa una forte impronta che ricorda la grandezza di quest’antica civiltà e riguarda i settori più disparati.
20 cose che la civiltà romana ci ha lasciato:
- strade agevoli e diritte che collegavano tutte le parti dell’impero;
- magnifiche abitazioni con cortili e pavimenti a mosaico;
- ponti e acquedotti resistenti per trasportare l’acqua su lunghe distanze;
- archi a tutto sesto, che rendevano gli edifici solidi e resistenti nel tempo;
- nuovi materiali da costruzione, come il cemento e il calcestruzzo;
- la pianta di molte città europee come Torino, Parigi, Barcellona rispecchia la struttura dell’accampamento militare romano (leggi Dal castrum militare alla città romana);
- il calendario che usiamo tuttora è, con piccolissime modifiche, quello messo a punto nell’eà di Cesare (leggi Il calendario romano e le sue riforme);
- grandi scrittori, come Cicerone e Virgilio;
- il sistema giuridico romano, applicato ancora oggi in molti paesi europei;
- la lingua italiana, così come lo spagnolo e il francese, deriva dal latino parlato nell’antica Roma;
- i termini Repubblica, console, magistrato, senato, questore furono utilizzati per la prima volta nell’antica Roma, anche se alcuni, oggi, hanno assunto significato diverso.
Da non dimenticare, poi, i numerosissimi frutti che i Romani introdussero in Italia, importandoli dall’Oriente, come le pesche (malum persicum) importate dalla Persia; le ciliegie (cerasum) importate dal Ponto; le albicocche (malum Armeniacum) importate dall’Armenia e pure i limoni (malum citreum) importati dal Vicino Oriente.
Ai Romani dobbiamo inoltre molti elementi tuttora presenti nelle nostre case, come le serrature in ferro con la chiave; le candele di cera e di sego; l’ombrello a stecche, inventato per ripararsi dal sole; le forbici e la diversa forma della scarpa destra rispetto alla sinistra.
Infine, alla civiltà romana dobbiamo anche una delle più radicate superstizioni: la convinzione che il 17 porti sfortuna. Il fatto è che un Romano antico vedeva in quel numero, scritto XVII, l’anagramma di VIXI, cioè “Ho vissuto”, una trascrizione davvero di pessimo augurio!