Nello stesso giorno, 18 settembre del 96 d.C., in cui il senato assassinava per mano di un liberto l’imperatore Domiziano, i congiurati si erano accordati per nominare suo successore Marco Cocceio Nerva, un senatore già anziano, tradizionalista e uomo di cultura considerato affidabile dall’aristocrazia.
Nerva (Narni, 8 novembre 30 – Roma, 27 gennaio 98) fu l’ultimo imperatore italico sia di nascita sia di famiglia. Nerva non aveva seguito l’usuale carriera amministrativa (il cursus honorum), anche se era stato console durante l’impero di Vespasiano nel 71 e con Domiziano nel 90.
Appena eletto fece cessare le persecuzioni contro i cristiani, consentì agli esiliati di rientrare a Roma, abolì i processi di lesa maestà, reintegrò il senato nelle sue prerogative, abolì il fiscus iudaicus (la tassa pagata dagli ebrei assoggettati all’impero romano dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme per opera di Tito, dietro ordine del padre Vespasiano, in favore del Tempio di Giove Capitolino in Roma) e la vicesima hereditatum (l’imposta successoria pari al 5% del patrimonio ereditario). Ma il merito principale del suo brevissimo regno (96-98 d.C.) fu l’introduzione del principato adottivo. Anzi, si può dire che la decisione più felice di Nerva sia stata quella di adottare quale proprio successore Marco Ulpio Traiano, sotto il quale l’impero avrebbe raggiunto il suo apogeo.
Dopo un secolo di successioni confuse o addirittura tragiche – con imperatori designati dal principe in carica in quanto suoi famigliari, o dall’esercito o dal senato – il principio dell’adozione forniva finalmente un criterio certo e trasparente per regolare il problema.
Con il principio dell’adozione, il principe in carica adottava il suo successore, con l’approvazione del senato, scegliendolo in base alle qualità e ai meriti.
Con la loro mentalità pragmatica, i romani avevano infine accettato che, se un principe doveva esserci, almeno fosse l’optimus princeps, il principe migliore possibile, la persona più adatta a guidare lo stato. Un uomo moderato, giusto, prudente, equilibrato; attento agli interessi dello stato più che ai suoi; pronto a favorire la concordia e a stroncare le lotte di fazione; severo ma anche amorevole verso il suo popolo, come un padre; devoto agli dèi; non desideroso di essere considerato un dio, ma orgoglioso di venire divinizzato dopo la morte per aver ben governato.
Nessun imperatore, naturalmente, poté incarnare appieno questo modello ideale: ma è certo che iniziò in questi anni il periodo più florido e pacifico della vita dell’Impero romano.