Si definiva cursus honorum la successione di cariche pubbliche che un cittadino romano doveva ricoprire fino al conseguimento del consolato, la più alta magistratura nell’ordinamento di Roma in età repubblicana.
Le magistrature dello Stato romano
Le cariche pubbliche che costituivano il cursus honorum erano chiamate magistratus (o honores), così come il loro titolare. I termini “magistratura” e “magistrato”, quindi avevano un significato generico, diversamente da quelli odierni.
Potevano diventare magistrati solo i maschi, nati liberi (civis ingenui) e con la cittadinanza romana; erano esclusi invece i Latini dei municipia e delle coloniae; i liberti e i peregrini, ovvero gli stranieri residenti a Roma.
Le principali magistrature romane erano (in ordine obbligatorio di accesso) la questura, l’edilità, il tribunato, la pretura, la censura, il consolato, la carica più alta dello stato. Si dividevano in minori (quaestura, aedilitas, tribunatus) e maggiori (praetura, censura, consulatus).
Alcuni magistrati (come consoli e pretori, e gli imperatori durante il principato) erano dotati di imperium, cioè il potere supremo di decidere in pace e in guerra; di interpretare e applicare le leggi; di infliggere la pena di morte. Anche la dittatura, una carica straordinaria, alla quale si ricorreva solo in casi di gravissimo pericolo per lo Stato e per un massimo di sei mesi, era una magistratura dotata di imperium.
Le caratteristiche delle magistrature romane
Le principali caratteristiche delle magistrature romane erano l’elettività, la temporaneità, la collegialità, la gratutità e la responsabilità.
Il principio dell’elettività prevedeva che si accedesse a una magistratura in seguito alla libera scelta effettuata dai cittadini riuniti nelle assemblee popolari.
Il principio della temporaneità era imposto dal desiderio di impedire che si acquisisse una posizione dominante mediante un esercizio prolungato dei poteri. Per lo più le cariche duravano un anno; solo per i censori e per i dittatori erano previsti rispettivamente diciotto e sei mesi.
La collegialità prevedeva che non fosse una sola persona il titolare di una magistratura: un’evidente conseguenza dell’avversione nutrita dai Romani per la figura del monarca, unico depositario di tutti i poteri.
L’applicazione del principio di collegialità dava a entrambi i consoli gli stessi poteri e le stesse funzioni, ciò naturalmente non impediva che i due magistrati si mettessero d’accordo dividendosi i compiti.
Per i magistrati non erano previsti compensi in applicazione del principio di gratutità, un criterio apparentemente giusto, ma in realtà iniquo, dal momento che rendeva il cursus honorum accessibile quasi solo agli aristocratici, di fatto la classe dirigente di Roma. Fra l’altro le spese elettorali erano notevoli. Tuttavia, dalla fine del II secolo a.C., queste cariche furono ottenute anche da uomini non aristocratici, che vennero chiamati homines novi; tra questi ricordiamo Catone il Censore; Gaio Mario, che ottenne anche il consolato dopo la fine della guerra giugurtina; Cicerone; Agrippa; Sallustio.
Altro aspetto rilevante, infine, delle magistrature era la responsabilità dopo la scadenza del mandato. Ogni magistrato aveva infatti, oltre alla responsabilità politica dei suoi atti, quella amministrativa (per esempio se gestiva denaro pubblico) ed eventualmente quella penale (se commetteva reati nell’esercizio delle sue funzioni), ma poteva venire giudicato o processato soltanto allo scadere della sua carica, quando cioè il magistrato ridiventava un cittadino qualunque e poteva subire un processo ed essere eventualmente condannato.
Il principio della graduazione dei poteri
I rapporti tra i vari magistrati erano regolati dal principio della graduazione dei poteri. Ciò comportava che un magistrato di rango superiore poteva apporre l’intercessio, ossia il veto, a qualunque decisione presa da un magistrato dotato di minore potestas; era pure possibile sospendere dalle funzioni un magistrato più in basso nella gerarchia.
Persone a servizio dei magistrati
I magistrati disponevano di persone al loro servizio: i viatores (tra le loro funzioni: comunicare ai senatori la convocazione del senato; eseguire citazioni giudiziarie; sequestri ed arresti); gli scribae (in particolare, erano addetti alla copiatura di documenti relativi agli affari pubblici); i praecones (le loro funzioni variavano dalla convocazione dei cittadini in assemblea all’annuncio delle sentenze del magistrato; all’attiva partecipazione al processo elettorale, mediante l’acclamazione dell’eletto; fino alla pubblicità dei riti funebri).
La lex Villia annalis o annaria
La lex Villia annalis o annaria del 180 a.C., oltre a stabilire le tappe del cursus honorum, fissava l’età minima per l’accesso alle singole cariche, che era di 27 anni per la questura; per candidarsi alle altre cariche bisognava far passare almeno due anni tra l’uno e l’altra.
La lex Cornelia de magistratibus
Silla con la lex Cornelia de magistratibus elevò le età minime: 30 anni per la questura; 40 per la pretura; 43 per il consolato.
I questori
I questori nei primi tempi erano due; divennero quattro nel 421 a.C.; venti sotto Silla; quaranta al tempo di Cesare e venti durante l’impero di Augusto.
All’inizio erano scelti dai consoli, successivamente la nomina spettò ai comizi tributi.
I questori urbani custodivano l’aerarium, il tesoro dello Stato, e le insegne di guerra; esercitavano inoltre mansioni inerenti all’amministrazione finanziaria, in un primo momento solo in Italia, in seguito anche nelle province.
Gli edili
Gli edili, istituiti dopo la secessione della plebe sul Monte Sacro (494 a.C.), erano nei primi tempi solo due e custodivano i templi e gli archivi della plebe.
Ai due aediles plebei si aggiunsero gli aediles curuli, creati nel 367 a.C. ed eletti dai comizi tributi. In seguito gli edili furono scelti sia tra i patrizi sia tra i plebei e avevano varie competenze: la sorveglianza sul pubblico commercio; l’approvvigionamento della città; la cura delle strade e degli edifici pubblici; l’allestimento dei ludi, spesso finanziati dagli stessi edili allo scopo di conquistarsi il favore popolare in vista delle successive prove elettorali.
I pretori
I pretori, creati con le leggi Liciniae Sextiae del 367 a.C., avevano come principale competenza la giurisdizione civile, in precedenza esercitata quasi certamente dai consoli.
Dal 242 a.C. al praetor urbanus si affiancò un praetor peregrinus. Il primo aveva giurisdizione nelle cause private tra cittadini romani; il praetor peregrinus, invece, esercitava la iurisdictio inter peregrinos, ossia aveva competenza sulle cause tra stranieri o tra cittadini romani e stranieri.
Altri due pretori furono nominati nel 227 a.C. con l’incarico di governare le prime province romane, nate in seguito alla fine della Prima Guerra Punica, la Sicilia e la Sardegna.
I pretori divennero infine sei nel 179 a.C.; il praetor urbanus era quello con maggiore auctoritas.
I consoli
I consoli erano i più alti magistrati dell’ordinamento repubblicano. Essi davano, inoltre, il nome all’anno (eponimia).
Fino al 367 a.C. solo i patrizi potevano accedere alla suprema carica; poi con le leggi Liciniae Sextiae si stabilì che al consolato potessero aspirare anche i plebei.
La tradizione voleva che il consolato fosse stato istituito nel 509 a.C. dopo la cacciata dell’ultimo Re di Roma, Tarquinio il Superbo.
Nei primi tempi i consoli erano chiamati praetores e iudices, con un evidente richiamo alle loro funzioni militari e giudiziarie. Eletti dai comizi centuriati, restavano in carica un anno e avevano il comando militare e il governo civile della città. Potevano convocare il Senato, i comitia centuriata e i comitia tributa. Avevano diritto alla toga praetexta, alla sella curulis (un seggio pieghevole intarsiato di avorio) e al seguito di dodici littori.
I littori
I littori avevano il compito di scortare i magistrati romani procedendo davanti a loro con i fasci sulla spalla sinistra. Il fascio littorio era costituito da un’ascia racchiusa in un fascio di verghe, di olmo o di betulla; all’occorenza, il fascio era sciolto e le verghe o la scure erano usate per eseguire le condanne alla fustigazione o a morte decretate dal magistrato.