La Dedica del Principe di Machiavelli (o Lettera dedicatoria) è posta ad apertura del trattato scritto nel 1513, dopo il ritorno nel 1512 della potente famiglia Medici a Firenze.
Il ritorno dei Medici a Firenze aveva segnato la fine della Repubblica, con il conseguente allontanamento del gonfaloniere Piero Soderini e di tutti coloro che, nel precedente regime, avevano ricoperto cariche istituzionali. Tra costoro c’era anche Niccolò Machiavelli, con l’aggravante ulteriore di essere sospettato di partecipazione alla congiura antimedicea ordita da Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi. Machiavelli fu processato e condannato. Dopo la dura esperienza del carcere e della tortura, nel 1513 si ritirò nel suo podere dell’Albergaccio, presso Firenze. Nel suo forzato esilio scrisse Il Principe.
La Dedica di Machiavelli nel Principe
Il Principe di Machiavelli si apre con una dedica a Lorenzo di Piero de’ Medici, nipote di papa Leone X, che governava di fatto la città a nome dello zio. Machiavelli inizialmente aveva pensato di dedicare il Principe a Giuliano de’ Medici (secondo quanto dichiarato nella lettera datata 10 dicembre 1513, indirizzata a Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino presso il papa); poi, probabilmente dopo la morte di Giuliano nel 1516, lo indirizzò a Lorenzo di Piero de’ Medici, guida del potere familiare a Firenze. L’intento di Machiavelli era quello di rientrare nella politica attiva, anche per far fronte alla difficile situazione economica in cui era venuto a trovarsi dopo la fine del suo segretariato.
La Dedica del Principe di Machiavelli riassunto e spiegazione
Machiavelli dichiara di aver voluto donare al signore qualcosa di diverso dall’usuale offerta di cavalli, armi, drappi d’oro e pietre preziose e di aver voluto evitare le frasi altisonanti, gli artifici e i “lenocini” (cioè le ruffianerie) della retorica. Porge invece un «piccolo dono» che dà la possibilità di capire in brevissimo tempo quello che in tanti anni di esperienza e di letture di opere antiche egli aveva conosciuto e compreso, tra difficoltà e pericoli. Il discorrere dei prìncipi e il dettare regole per il loro governo da parte di un uomo di bassa condizione sociale non dovrà sembrare presunzione: lo scrittore è paragonato al disegnatore che per ritrarre la natura delle montagne deve scegliere la pianura come punto di osservazione. Allo stesso modo, per osservare la natura dei prìncipi lo scrittore deve essere «populare», cioè un uomo del popolo.
Le ultime righe della Dedica alludono sobriamente alla speranza dell’autore di poter trovare sostegno nel destinatario del libro; e cioè di essere nuovamente considerato degno di partecipare attivamente alla vita politica fiorentina.
Machiavelli infatti desidera fortemente essere al servizio dei Medici e sa, allo stesso tempo, di essere guardato con sospetto per la sua precedente adesione al governo repubblicano. Ciononostante, si limita a porre al servizio del potente, in modo prudente ma non servile, il suo sapere nella speranza che ciò basti a indurre il signore a impiegarlo nell’azione, a prenderlo in considerazione, a volgere lo sguardo «in questi luoghi bassi» dove egli sta sopportando una «grande e continua malignità di fortuna».
Tuttavia, Il principe di Machiavelli venne accolto con indifferenza e il suo autore dovette attendere diversi anni prima di essere richiamato a ricoprire incarichi ufficiali.