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Dei Sepolcri Ugo Foscolo: riassunto, analisi, commento

Dei Sepolcri fu composto da Ugo Foscolo nel 1806 e pubblicato nel 1807. Motivo occasionale della sua composizione fu il decreto napoleonico di Saint-Cloud (12 giugno 1804), reso esecutivo in Italia dal 5 settembre 1806. Secondo il decreto di Saint-Cloud i cimiteri dovevano, per ragioni igieniche, sorgere fuori dall’abitato, e le tombe avere lapidi uniformi anche nelle epigrafi.

Questo motivo occasionale diede a Ugo Foscolo la possibilità di far confluire nell’opera tutte le riflessioni e tutti gli ideali di cui il poeta aveva nutrito la sua vita e le sue opere: i grandi temi dell’esilio, della patria, dell’amicizia e, soprattutto, la fiducia nella sopravvivenza dell’uomo buono e giusto, dopo la morte; nell’affetto dei vivi e l’esaltazione dell’impegno civile e del valore perenne della poesia.
Così il carme che, quanto al tema, è riconducibile alla vasta produzione cimiteriale e notturna del Settecento preromantico, diventa un testo capitale della poesia di tutti i tempi.

Dei Sepolcri la struttura

Dei Sepolcri è un carme, perché è una poesia lirica di tono solenne. È concepito come un’epistola poetica al letterato e poeta Ippolito Pindemonte, con cui il Foscolo aveva occasionalmente affrontato i problemi connessi all’applicazione in Italia del decreto napoleonico.

Dei Sepolcri si sviluppa in 295 endecasillabi sciolti. Il tono del componimento è elevato. La lingua, fatta di forme e di costrutti latineggianti, è classicamente letteraria. Ma quello che, dal punto di vista stilistico, maggiormente caratterizza il carme è la grande ricchezza di immagini in cui il Foscolo incarna, con straordinarie capacità sintetiche e fantastiche, i suoi ideali e i suoi concetti.

Dei Sepolcri analisi e commento

Dei Sepolcri è costituito da 295 endecasillabi sciolti. Il testo è suddivisibile in quattro parti.

Prima parte (vv. 1-90). Utilità delle tombe e dei riti funebri come legame tra vivi e defunti. Ricordo delle imprese dei morti.

(vv. 1-50) Da un punto di vista materialistico e laico, le tombe e i riti funebri sono inutili e certamente non riscattano, per chi muore, la perdita della vita, comunque irreparabile. Tuttavia l’uomo può sopravvivere almeno nei ricordi dei propri cari che lo piangono e lo ricordano, restando in qualche modo in contatto con lui e prolungandone la vita attraverso la memoria. In questo modo si attua una “celeste corrispondenza di amorosi sensi” che vince la morte. In quest’ottica acquistano senso e utilità le tombe, le iscrizioni funebri e i riti connessi.

Al riconoscimento della santità dei sepolcri segue (vv. 51-90) la deprecazione dell’editto napoleonico di Saint-Cloud, che imponeva, sia per questioni igieniche sia in base a idee di uguaglianza sociale almeno di fronte alla morte, che i cadaveri fossero sepolti in cimiteri lontani dall’abitato e che nessuna iscrizione o lapide segnalasse le tombe dei cittadini più illustri.

Foscolo depreca gli effetti della nuova legge: anche Giuseppe Parini (1720-1799), il poeta milanese che attribuiva all’attività letteraria un’alta funzione civile e che nel poema satirico Il giorno sferzava i vizi e la corruzione della nobiltà, è sepolto senza monumento funebre. Egli giace tra assassini e ladri, e tra gli sterpi e i sepolcri abbandonati vagano cani affamati e svolazza l’upupa (uccello notturno). Invano Talia, la musa della poesia comica e satirica ispiratrice di Parini, prega che la natura sia pietosa con la sepoltura dimenticata, versando abbondante la rugiada notturna; solo il pianto, il ricordo e l’attenzione affettuosa degli uomini possono far crescere il pietoso conforto dei fiori sulle tombe.

Seconda parte (vv. 91-150). Descrizione dei vari riti funebri. Sono esaltati i riti inglesi e quelli classici.

(vv. 91-129) Foscolo ripercorre la storia delle sepolture e apre con la considerazione che il culto dei morti è sempre stato, insieme con l’istituzione della famiglia, l’amministrazione della giustizia e la religione, un indice del grado di civiltà ed evoluzione di un popolo. Presso i popoli più antichi, infatti, le sepolture costituivano l’unica testimonianza del passato, della tradizione e della storia patria.

Foscolo condanna il modello cattolico e medievale. L’uso medievale di seppellire i morti sotto i pavimenti delle chiese era malsano e antigienico e, inoltre, alimentava la superstizione e il terrore della morte. Nell’epoca classica, al contrario, il culto dei morti costituiva una delle massime espressioni della civiltà di un popolo. Il sepolcro pagano, infatti, rappresentava una testimonianza di affetti, di memorie e di pietose usanze e, insieme, era uno strumento di educazione civile.

La rievocazione degli usi sepolcrali (vv. 91-129) prosegue (vv. 130-150) con la descrizione dei cimiteri delle piccole città inglesi, che, collocati in campagna e adornati di fiori e piante odorose, ricordano i sepolcri dell’antichità classica.

In questi giardini-cimiteri le fanciulle inglesi pregavano gli dèi tutelari della patria perché concedessero il ritorno al valoroso ammiraglio Nelson, che vinse Napoleone ad Abukir (1789) e che fece intagliare nel legno dell’albero maestro di una nave nemica sconfitta la bara dove essere sepolto un giorno.

Ma – con accento polemico – Foscolo afferma che le tombe sono inutili dove la viltà e l’inerzia spirituale dominino la vita di un popolo, dove siano spenti il desiderio di nobili imprese e la dignità civile. Tutte le classi sociali del Regno d’Italia, ad esempio, sono già morte e sepolte nei loro stessi palazzi, piegate alla vile adulazione del governo napoleonico; gli unici titoli di gloria sono ormai gli stemmi e i blasoni nobiliari e non le valorose imprese. Per sé, invece, uomo libero, Foscolo desidera una sepoltura che sia un luogo di sereno riposo, un rifugio protetto dai colpi della sorte avversa, dal quale gli amici possano attingere l’esempio di una poesia libera e generosa.

Terza parte (vv. 151-212). Il valore storico delle tombe. Descrizione dei grandi del passato presenti nella chiesa di Santa Croce a Firenze.

Le tombe degli uomini nobili e virtuosi esercitano una funzione civile ed educatrice su un popolo, conservandone intatti i valori spirituali e spingendo gli animi più generosi, a nuove imprese, con l’esempio del glorioso passato.

La serie delle «tombe dei grandi» ha inizio con Machiavelli, il letterato e uomo politico del Cinquecento, di cui il Foscolo sottolinea la coscienza civile e l’impegno politico; prosegue con un artista, Michelangelo, per concludersi con uno scienziato Galileo, quasi ad abbracciare il sapere umanistico e scientifico. La rievocazione delle glorie d’Italia si conclude con Dante e Petrarca e, infine, con Alfieri, quasi un “alter ego” di Foscolo per la passione politica e la tormentata interiorità. Da queste tombe già Vittorio Alfieri traeva ispirazione per i suoi ideali di libertà e rinascita nazionale.

Quarta parte (vv. 213-295). La funzione della poesia che sa rendere eterne le virtù molto più delle tombe, perché rimane nella memoria e non si distrugge col tempo.

Il medesimo amor di patria, che oggi sembra emanare dalle «tombe dei grandi», raccolte in Santa Croce, incitò un tempo i Greci a resistere all’invasione persiana e li condusse alla vittoria nella battaglia di Maratona.
La morte sa dispensare giusti onori ai valorosi: navigando lungo le coste del mar Egeo, si può sentire il frangersi delle onde, che portarono le armi di Achille sulla tomba di Aiace, tributando all’eroe il meritato onore e la gloria che la giustizia umana gli aveva negato in vita.

Il carme si conclude con una commossa esaltazione (vv. 226-295), condotta attraverso la rievocazione di vari miti classici, della suprema funzione della poesia: la poesia rende eterna la fama del valore umano anche quando il trascorrere implacabile del tempo distrugge tutte le testimonianze della civiltà e i sepolcri stessi.

Con il soccorso delle Muse, Foscolo intende rendere eterne le imprese eroiche dei «grandi» della patria, traendo ispirazione dai loro sepolcri, perché il patrimonio di valori spirituali del passato sia esempio e guida per il popolo.
Anticamente Elettra, sposa di Zeus e fondatrice della stirpe troiana, prima di morire, ottenne in dono la fama. Il poeta Omero rese eterna la memoria delle vicende di Troia e del destino infelice e glorioso di Ettore, attingendo la sua ispirazione dal sepolcro di Elettra e da quelli degli eroi della città: Dardano, Ilo, Erittonio.

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