Si chiama Destalinizzazione il processo iniziato in Unione Sovietica (URSS) dopo la morte di Stalin (1953), volto a denunciare gli errori e i crimini del regime staliniano; terminò con la dizzoluzione dell’Urss (1991).
Chi avviò il processo di Destalinizzazione in Unione Sovietica?
Esso fu avviato da uno dei successori di Stalin, Nikita Kruscev (1894-1971), segretario del Partito comunista dell’Unione Sovietica (1953). Egli sin dall’inizio del suo mandato si preoccupò di scarcerare oltre un milione di detenuti nei gulag, mettendo fine alla politica del terrore. Nel febbraio 1956, durante il XX Congresso del Partito comunista dell’URSS, pose sotto accusa il «culto della personalità» alimentato da Stalin e le sue conseguenze politiche: il dispotismo personale; la mancanza di dibattito e di discussione all’interno del partito comunista; gli indirizzi autoritari nella politica interna. In politica estera, Kruscev sostenne la necessità di una coesistenza pacifica con gli Stati Uniti.
Gli effetti della destalinizzazione
La morte di Stalin e le prime critiche allo stalinismo furono interpretate come apertura di nuovi spazi di libertà personale e di autonomia per i popoli soggetti al dominio dell’URSS. Ma tali speranze naufragarono di fronte alla repressione violenta, operata da Kruscev stesso, dei moti insurrezionali e dei movimenti di indipendenza dall’URSS sviluppatisi a metà degli anni Cinquanta del Novecento in Polonia e in Ungheria.
Le ripercussioni della destalinizzazione furono forti anche in Italia, provocando un aggiustamento di linea del PCI (che avviò un cauto processo di allontanamento dall’URSS), il distacco di molti intellettuali dal partito, considerato troppo filosovietico e per questo troppo legato allo stalinismo, e la rottura dell’alleanza a sinistra fra i due maggiori partiti d’ispirazione socialista, il PSI (che cominciò a cercare invece un’intesa con la DC) e il PCI.
