Dialogo della Moda e della Morte di Giacomo Leopardi appartiene alla raccolta delle Operette morali una serie di dialoghi tra personaggi reali e immaginari, scritti fra il 1824 e il 1832, nei quali il poeta espone la propria concezione della vita e dell’uomo.
Il Dialogo della Moda e della Morte, scritta nel 1824 e pubblicata per la prima volta nell’edizione milanese del 1827, risponde all’intenzione di Leopardi di «scuotere» la sua «povera patria» usando le «armi del ridicolo», come si legge in un pensiero dello Zibaldone del 29 luglio 1821.
Il tema sul quale si focalizza l’ironia di Leopardi è rappresentato dagli eccessi della Moda, pericolosi per la salute quanto frivoli. Il tema non è nuovo se si pensa che alla Moda «vezzossisima Dea» Giuseppe Parini aveva dedicato Il Giorno, dipingendola come maestra di vanità della gioventù contemporanea. Leopardi riprende il tema incorniciandolo nel quadro della miseria morale e intellettuale in cui si trova l’umanità del suo tempo.
Dialogo della Morte e della Moda riassunto
Richiamata dalla Moda, la Morte ferma la sua corsa e le presta ascolto. La Moda le dice di essere sua sorella e di tendere allo stesso suo scopo di modificare continuamente le cose del mondo, sebbene impiegando mezzi diversi dai suoi. La Morte infatti si accanisce contro gli uomini fino a distruggerli, mentre la Moda ne altera i gusti e gli stili di vita.
La Moda si professa inoltre collaboratrice della Morte al punto che parecchie delle usanze che ha imposto (ad esempio i fori alle orecchie, alle labbra e al naso, i tatuaggi, le calzature scomode, i bustini molto stretti) danneggiano la salute dei suoi seguaci, talvolta in modo irreparabile.
Tuttavia i vantaggi più rilevanti che la Moda ha procurato a sua sorella sono altri, come l’avere di recente bandito dalle usanze l’attività fisica e l’avere al contrario messo in uso pratiche che hanno accorciato la vita degli individui o, ancora peggio, che l’hanno resa «più morta che viva», ossia povera di ideali e apatica.
Infine ha talmente corrotto i costumi da eliminare quasi del tutto dal mondo contemporaneo il sogno di essere immortali nella memoria dei vivi, ovvero di distinguersi per azioni nobili e degne di essere ricordate; allo stesso tempo ha rimosso l’attitudine a ricordare quei pochi che da defunti avrebbero meritato di entrare nella memoria collettiva.
Ognuna di queste imprese ha avuto il pregio di accrescere il potere della Morte sulla terra; è quindi per dare seguito a questa collaborazione che le due sorelle decidono infine di unire i loro cammini in modo da arrecare ulteriori danni alla civiltà attuale, benché già avviata abbondantemente verso la propria disintegrazione.
Analisi
In quest’operetta Leopardi stabilisce un bizzarro legame di parentela tra due figure femminili, personificazioni allegoriche di concetti apparentemente distanti fra loro: una, la Moda, briosa e chiacchierona, mentre l’altra, la Morte, più austera e impassibile, ma non meno arguta nelle sue osservazioni della prima.
Figlie entambe della Caducità, le due sorelle introducono mutamenti continui sulla terra rinnovando i modi di vivere, le forme delle cose, le generazioni. Dal loro dialogo si evince una verità amara, ovvero che sulla terra tutto è passeggero e deperibile, a eccezione del potere che esse esercitano sui destini umani.
Tuttavia se il dominio della Morte sugli esseri umani dipende da una ferrea legge di natura, quello della Moda dipende dalla loro sciocca vanità, tanto è vero che per seguire l’usanza del momento essi sono disposti a correre rischi continui per la salute, anche a costo di autodistruggersi.
Nel suo secondo monologo la Moda rivela che mai i suoi interventi nel mondo hanno reso più agevole ed efficace il lavoro della Morte come nel secolo presente, che a buon diritto può essere definito «il secolo della morte» (r. 85).
È nella descrizione di questi interventi che si coglie la polemica di Leopardi contro il proprio tempo. Il XIX secolo è infatti presentato nelle parole della Moda come un’epoca in cui l’umanità, dedita al culto delle apparenze, è pervenuta al culmine della decadenza fisica e morale: è giunta cioè a condurre una vita talmente vuota di passioni e di slanci ideali da assomigliare al sonno profondo della morte.