Don Rodrigo e Innominato sono inizialmente due figure apparentemente molto simili: entrambi appartengono al mondo dei prepotenti, rappresentano la violenza e l’ingiustizia sociale. Ma ad un certo punto, l’Innominato, con tutta la sua forza, passa dal campo degli oppressori a quello dei protettori, lasciando libera Lucia imprigionata nel suo castello. Poi comincerà a condurre una vita opposta alla precedente: si dedicherà a opere di misericordia e si offrirà di ospitare gli abitanti della zona nel suo castello, in occasione della discesa dei Lanzichenecchi in Lombardia.
Confronto tra don Rodrigo e Innominato
Don Rodrigo
Manzoni non fornisce un ritratto diretto di don Rodrigo in nessuna pagina del romanzo, ma attraverso ben precise scelte lessicali e stilistiche ci comunica la disumanità e l’aggressività di costui, che non sa essere grande neppure nel male.
Don Rodrigo vive in un palazzotto; è un giovane mediocre, arrogante e prepotente, ma solo con i deboli. È timoroso della giustizia e delle leggi, il che lo porta a cercare l’appoggio di persone influenti e poco scrupolose che gli garantiscano l’impunità. La piccolezza morale di questo personaggio è sottolineata nella scena del capitolo XI, quando il signorotto attende con impazienza il ritorno dei bravi inviati a rapire Lucia e pensa tra sé alle possibili conseguenze di quell’atto scellerato.
Entrando nel territorio dell’Innominato (capitolo XX), don Rodrigo deve accettare la propria inferiorità nei confronti dell’Innominato e spogliarsi di molti attributi della sua classe sociale: rende con molto garbo il saluto al capo degli sgherri (durante la passeggiata raccontata nel capitolo VII invece egli non rispondeva al saluto dei contadini e corrispondeva con una degnazione contegnosa a quello dei signori inferiori a lui); lascia il cavallo, depone lo schioppo, si priva di alcune berlinghe e alcuni scudi d’oro per darli ai bravi e prosegue a piedi; viene infine ammesso alla presenza dell’Innominato dopo averlo alquanto aspettato: l’attesa cui don Rodrigo è costretto è indizio della scarsa considerazione in cui è tenuto dall’Innominato.
Don Rodrigo nutre poi un sincero terrore per tutto ciò che riguarda la religione e l’aldilà, come è evidente nel colloquio con padre Cristoforo nel capitolo VI: la frase Verrà un giorno… pronunciata dal cappuccino col dito puntato, scatena l’ira del signorotto e tale gesto ricorrerà nel sogno del capitolo XXXIII, quando il nobile si scoprirà ammalato di peste.
Infine, don Rodrigo è un personaggio statico: la sua bassa statura morale non gli permette una trasformazione interiore (egli non si pente mai) come avviene nell’Innominato; muore nel lazzaretto (capitolo XXXV) pieno di ira, una fine triste.
L’Innominato
L’Innominato è il potente a cui don Rodrigo si rivolge per attuare il piano di rapire Lucia Mondella. È più vecchio e più esperto. Proviene da una famiglia potentissima e vive in un castellaccio, posto in cima a una montagna e per arrivarci bisogna attraversare sentieri insidiosi.
Ha un forte carisma e i suoi uomini gli sono fedelissimi. Viene presentato come un uomo crudele e senza scrupoli, incline a qualsiasi tipo di delitto. Davanti a lui, grande nella sua malvagità, don Rodrigo appare un personaggio di scarso rilievo.
Ma quando don Rodrigo lo raggiunge per organizzare il rapimento di Lucia (capitolo XX), scopriamo che è già in preda a una crisi di coscienza. L’incontro con Lucia ne determina la conversione (capitolo XXI). L’Innominato capisce gli errori del passato, si pente e si redime; decide di cambiare vita e usare il suo potere per aiutare gli altri. Attraverso questo personaggio Manzoni sottolinea come la differenza tra i bene e il male non è sempre così netta e che anche un uomo malvagio può trasformarsi attraverso la fede e il pentimento.