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Ed è subito sera di S. Quasimodo. Analisi e commento

Ed è subito sera di Salvatore Quasimodo: ve ne diamo il testo poetico nella prima e seconda stesura, la parafrasi, l’analisi, le figure retoriche, il commento

Ed è subito sera: il testo poetico

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Ed è subito sera: la parafrasi

Ciascun uomo è fermo e immobile al centro del mondo
illuminato, ma anche ferito da un raggio di sole:
poi cala immediatamente la sera (cioè la morte).

Ed è subito sera: l’analisi e le figure retoriche

La lirica appartiene alla raccolta che da essa prende il titolo: Ed è subito sera, pubblicata nel 1942.

I tre versi liberi di lunghezza variabile (un dodecasillabo, un novenario e un settenario) che la compongono facevano parte, originariamente, di un componimento dal medesimo titolo, costituito da 21 versi¹. Di quel testo Salvatore Quasimodo ha salvato solo il frammento finale, pervenendo così a quella suprema purezza di espressione che è ricerca costante di tutta la poesia dell’Ermetismo. Di questa corrente Quasimodo è considerato uno dei maestri, soprattutto per le poesie delle prime raccolte. È evidente l’influsso della poesia di Giuseppe Ungaretti e non c’è dubbio che il precedente più diretto di questi versi è costituito da Mattina.

Divisa in tre momenti, delimitati e sanciti dalla scansione dei tre versi, la lirica presenta nel primo verso la condizione di solitudine dell’uomo che, pur vivendo e operando in mezzo agli altri, non riesce mai a comunicare con nessuno: l’uomo è «solo».
Il pronome indefinito «Ognuno» allude a una condizione universale che va al di là di specifiche situazioni storiche e di singole esperienze individuali, mentre con il sintagma «sul cuor della terra» il poeta indica la sostanziale estraneità dell’uomo che di questo mondo stoltamente si illude di essere il centro (metafora).
Tutto il primo verso è percorso da suoni che, ripetendosi, creano una sensazione di aspra musicalità (allitterazione).

Nel secondo verso Quasimodo allude alla dolorosa impossibilità di godere perché la vita si trasforma, da possibilità di felicità e di godimento, in occasione amara di sofferenza.
Il «sole» simbolo di vita (metafora), viene utilizzato dal poeta con la funzione ambivalente di fonte di gioia e di pena. Un simile valore è implicito nel participio passato «trafitto»: la luce è cioè insieme benefica e dolorosa per l’uomo, prima da essa “illuminato” e “vivificato”, poi “sorpreso” e “ferito” dalla sua fugacità.
Infine, la specificazione «un» – da intendersi non tanto come articolo indeterminativo quanto piuttosto come aggettivo numerale – allude alla fragilità dell’uomo, che una minima contrarietà («un raggio») può abbattere, smentendo l’orgogliosa illusione contenuta nel verso precedente.

Nel terzo verso, infine, Quasimodo constata la precarietà dell’esistenza nel fulmineo sopraggiungere della morte, con la stessa rapidità con cui la giornata si avvia al suo termine (metafora). L’incisività epigrafica del verso è resa ancora più efficace dall’allitterazione, dalla somiglianza fonica tra «terra» del v. 1 e «sera», dovuta alla presenza nelle due parole delle stesse vocali (assonanza) e infine dall’analoga sonorità tra «sole» del v. 2 e «sera» (paranomasia).
Un particolare rilievo merita anche la congiunzione «ed», posta a collegare l’enunciato dell’ultimo verso con il periodo precedente, dopo un segno di interpunzione (i due punti), che viene in questo caso privato della sua tradizionale funzione, dal momento che qui non serve tanto a introdurre una spiegazione di quanto detto precedentemente, ma piuttosto a segnare quasi una pausa di trepida attesa prima della constatazione finale.

Ed è subito sera: il commento

In 17 parole, organizzate in una terzina di versi liberi (un dodecasillabo, un novenario e un settenario), Quasimodo ha saputo sintetizzare i fondamentali temi esistenziali dell’uomo:

  • la solitudine: l’uomo è solo anche se in mezzo a milioni di persone e questa solitudine lo fa diventare ancora più vulnerabile ed esposto alle prove che la vita gli riserva, qui poeticamente interpretate dai raggi di sole che “trafiggono” l’uomo, mentre la sera/morte è prossima a raggiungerlo;
  • il dolore per la brevità della vita stessa e per i colpi che da essa l’uomo ha ricevuto;
  • l’inevitabilità della morte sintetizzata in quella «sera» che così apertamente contrasta con il «raggio di sole» e che chiude, senza possibilità di appello, la lirica, così come la morte conclude la vita di ogni essere.

¹La prima stesura della lirica Ed è subito sera di Salvatore Quasimodo:

Una sera: nebbia, vento,
mi pensai solo: io e il buio.
Né donne; e quella
che sola poteva donarmi
senza prendere altro che silenzio,
era già senza riso
come ogni cosa ch’è morta
e non si può ricomporre.
Lontana la casa, ogni casa
che ha lumi di veglia
e spole che picchiano all’alba
quadrelli di rozzi tinelli.
Da allora
ascolto canzoni di ultima volta.
Qualcuno è tornato, è partito distratto
lasciandomi occhi di bimbi stranieri,
alberi morti su prode di strade
che non m’è dato d’amare.
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

 

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