Essere o non essere questo è il dilemma (To be or not to be, that is the question): sono le parole che aprono il celeberrimo monologo di Amleto (1601) di William Shakespeare, nella scena prima del terzo atto. È certamente il più famoso di tutti i monologhi teatrali.
Quando Amleto pronuncia essere o non essere?
In sintesi, ecco l’antefatto che dà origine al monologo di Amleto: il principe di Danimarca Amleto incontra lo spettro di suo padre, morto da poco tempo. Il fantasma gli rivela che è stato suo fratello Claudio a ucciderlo, per poi sposare sua moglie Gertrude e usurpare il trono. Amleto giura di vendicarne la morte e comincia a comportarsi come un pazzo per non destare sospetti e tradire i suoi propositi.
Polonio, consigliere del re, sospetta che tale pazzia sia dovuta all’amore non ricambiato per sua figlia Ofelia. D’accordo con il re Claudio, Polonio organizza allora un incontro tra sua figlia Ofelia e Amleto per comprendere la vera natura della follia.
Mentre Polonio, Claudio e Gertrude si nascondono per assistere alla scena, sopraggiunge Amleto, in preda al furore, nella sala del trono e, prima che arrivi Ofelia, incomincia il suo angosciante monologo.
Essere o non essere significato e spiegazione
Con una sintesi ammirevole il dubbio amletico (Essere o non essere, to be or not to be) esprime il problema cruciale dell’esistenza umana, quello relativo alla conservazione o al rifiuto dell’esistenza stessa.
«Essere», cioè vivere fino in fondo la vita, oppure «non essere», cioè riunciare alla vita uccidendosi? Questo è il dilemma. Il dubbio amletico poi si complica ancora di più con un’altra domanda: meglio vivere passivamente, tollerando il destino, oppure combattere contro il destino, ribellarsi, ben sapendo che sarà comunque la morte a trionfare?
Amleto non ha dubbi: la morte è senz’altro la scelta migliore, perché la morte, il sonno eterno, porta con sé la pace e salva l’individuo da tutti i dolori di cui Amleto fa l’elenco: l’ingiustizia, i giochi di potere, l’arroganza degli uomini, l’amore non ricambiato… Il suicidio quindi non sarebbe certo un atto di viltà, ma al contrario una forma di eroica resistenza contro le ingiustizie e le sofferenze della vita, oltre che un dolce sonno che libera dall’angoscia e acquieta l’anima.
Tuttavia, qualcosa ferma la mano che sta afferrando il pugnale: è il timore di ciò che ci sarà dopo la morte, di ciò che ci aspetta nel «paese inesplorato dai cui confini nessun viaggiatore ritorna». Non per amore della vita, dice Amleto, continuiamo a vivere, ma perché abbiamo paura di ciò che verrà dopo.
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