La favola di Amore e Psiche è una novella compresa nell’opera maggiore di Apuleio, Le Metamorfosi o L’asino d’oro.
Costituisce tuttavia un racconto completo e autonomo all’interno dell’opera stessa, che va dal capitolo 28 del IV libro al capitolo 24 del VI libro.
La favola di Amore e Psiche ha avuto una fortuna a parte rispetto all’opera cui appartiene.
L’incipit del racconto è quello tipico delle favole popolari di tutti i tempi. Un re e una regina avevano tre figlie, delle quali l’ultima, Psiche (nome che in greco significa «anima»), era la più bella. L’ammirazione di tutti per la fanciulla suscitò la gelosia di Venere; la dea, per punirla, chiese al figlio Cupido di farla innamorare di un uomo bruttissimo. Cupido, invece, quando vide Psiche rimase tanto colpito dalla sua bellezza che la freccia, preparata per la fanciulla, gli cadde sul piede innamorandosene egli stesso.
Senza mai apparire a lei, la condusse in un palazzo incantato dove la fece sua sposa. Le fece giurare che mai avrebbe tentato di scoprire chi era l’uomo che di notte giaceva con lei, aggiungendo che se, per caso, lo avesse veduto, egli subito sarebbe scomparso e lei non lo avrebbe rivisto mai più.
Le due sorelle maggiori di Psiche, gelose della fortuna a lei capitata, la andarono a trovare e la persuasero che, per non volersi far vedere, lo sposo doveva essere un mostro orribile.
La povera Psiche rimase ossessionata dal dubbio atroce che le sorelle le avevano messo in mente. Così, ansiosa e spaventata, una notte, mentre Amore dormiva, si avvicinò al suo letto con una lampada; con grande meraviglia, vide che, anziché il mostro che si era aspettata di trovare, il suo sposo aveva un viso bellissimo, una testina bionda e ricciuta, una boccuccia che esalava un soave profumo di ambrosia; capì allora che egli doveva essere il più giovane e il più bello degli dèi immortali.
Estasiata da quella contemplazione, la fanciulla non si accorse che la lampada che reggeva in mano s’era inclinata e da essa era caduta su Amore una goccia d’olio caldo che lo aveva colpito sulla spalla. Amore avvertì il bruciore e si svegliò. Vide la sposa con la lampada in mano e si rese subito conto che Psiche, per diffidenza, aveva mancato al giuramento. Si alzò dal letto e si levò in volo, scomparendo.
Psiche disperata tentò di togliersi la vita gettandosi nel fiume. Seduto sul ciglio del fiume c’era il dio Pan; questi la dissuase da qualsiasi altro tentativo di suicidio e la convinse a provare di tutto affinché Amore le si riavicinasse.
Psiche, presa da tanti pensieri, iniziò a camminare e giunse nella città dove regnava il marito di una delle due sorelle. Le raccontò che ogni notte aveva giaciuto non con una belva, ma con il figlio di Venere, bellissimo; ma lei aveva rotto il giuramento e Amore l’aveva scacciata e ora voleva sua sorella come sua degna sposa: Zefiro l’avrebbe condotta da lui.
La sorella, presa da una «frenesia lussuriosa» e da una «malvagia invidia», mentì al marito dicendogli che le erano morti i genitori e s’imbarcò su una nave. Si diresse alla rupe dalla quale, come le aveva detto Psiche, si doveva gettare, per poi essere presa in volo da Zefiro e portata da Amore. Invece si sfracellò sulle rocce e i suoi resti furono spartiti tra uccelli e bestie feroci. La stessa vendetta e sorte toccò alla seconda sorella.
Intanto Venere, informata di quanto era accaduto al figlio, giurò vendetta. Psiche chiese aiuto a Cerere (Demetra presso i Greci), ma questa, temendo d’incorrere nelle ire di Venere, rifiutò. Si rivolse allora a Giunone (Hera o Era presso i Greci), che fece altrettanto.
Stanca di fuggire e abbandonata da tutti, mortali e dèi, Psiche decise di presentarsi umile e supplichevole, a Venere.
La dea la consegnò alle due ancelle Angoscia e Tristezza perché la torturassero. Dopodiché le impose di superare una serie di prove. L’ultima di queste consisteva nello scendere nell’Ade e farsi consegnare da Persefone un vasetto nel quale richiudere una parte della bellezza della dea degli inferi.
Psiche, stanca e avvilita, si recò su una torre altissima, con l’intenzione di buttarsi giù dalla cima. La torre però cominciò a parlarle e le suggerì la strada da percorrere per arrivare nel regno dei morti senza per questo suicidarsi e condannarsi così a restare per sempre negli Inferi. Le raccomandò inoltre di non aprire il vasetto.
Psiche seguì alla lettera i consigli ricevuti. Ritornò dal regno dei morti con un vasetto contenente la divina bellezza, ma la curiosità la vinse di nuovo e aprì il vasetto.
Purtroppo dentro il vasetto c’era solo il sonno mortale che l’avvolse e Psiche cadde a terra esanime.
Ma intervenne Amore che la svegliò, pungendola con la punta di una delle sue frecce. Subito dopo egli volò da Giove e chiese la sua intercessione, affinché sua madre Venere lasciasse libera Psiche e acconsentisse alle nozze. Così fu, ma prima Giove rese immortale Psiche, innalzandola al rango degli dèi.
Seguì un sontuoso banchetto alla presenza di tutti gli dèi dell’Olimpo. Qualche tempo dopo Psiche partorì una figlia, alla quale diedero il nome di Voluttà.
Amore e Psiche significato allegorico
La favola si estende per ben 63 capitoli e Apuleio le ha affidato una funzione ben più complessa di quella riservata alle altre novelle.
La favola rappresenta il destino dell’anima (si ricordi che psiche in greco vuol dire “anima”) che per aver commesso peccato di hybris (tracotanza, superbia), tentando di penetrare un mistero che non le era consentito svelare, deve scontare la sua colpa con umiliazioni e affanni d’ogni genere prima di rendersi degna di ricongiungersi col dio (e dall’unione dell’anima e dell’amore nasce il piacere).
È la tessa sorte toccata a Lucio (protagonista delle Metamorfosi, di cui la favola fa parte), che deve scontare la sua curiositas attraverso peripezie inaudite, prima che, purificato, possa guadagnarsi l’unione mistica con Iside.