Fondamentalismo: definizione
Si definisce fondamentalismo l’atteggiamento di chi si batte per un ritorno ai «fondamenti» della religione: dunque per una interpretazione letterale dei testi sacri posti alla base della propria confessione (si tratti della Bibbia, del Vangelo, del Corano) e per un’applicazione integrale dei precetti in essi contenuti, che dovrebbero informare di sé le leggi dello Stato, e dunque la politica, la cultura, la vita sociale e l’economia (in questo senso si parla anche di integralismo: un termine che però ha un significato più vago e un campo di applicazioni più ampio).
I movimenti fondamentalisti si considerano i legittimi detentori delle verità religiose originarie, inquinate dai processi di modernizzazione. Per imporsi, si inseriscono nelle fasi di crisi, offrendone una spiegazione unica e al tempo stesso una soluzione semplice e immediata: il ritorno, appunto, alle antiche tradizioni e alle certezze del credo religioso. Essi forniscono, inoltre, ai propri aderenti un’organizzazione e una comunità da cui sono esclusi i non credenti e i dissidenti, considerati come nemici da combattere.
Fondamentalismo: evoluzione del termine
Se l’atteggiamento fondamentalista è antico quanto le religioni, il termine si è imposto soprattutto nel XX secolo. I primi a usare il termine fondamentalismo furono quei gruppi di protestanti conservatori americani che si riconoscevano nei “fundamentals” (i “fondamentali”), ovvero l’accettazione dei “fondamenti” del cristianesimo (che dovevano costituire la base per il rinnovamento spirituale della società): dogma della Trinità, divinità di Cristo, sua concezione verginale, redenzione, resurrezione, giudizio universale, autenticità dei miracoli del Vangelo.
In ambito islamico, le origini del fondamentalismo vanno fatte risalire al movimento dei Fratelli musulmani, nato in Egitto alla fine degli anni ’20 del Novecento per iniziativa di un insegnante Hasan al-Banna, con lo scopo di reagire all’occidentalizzazione della società in nome di una totale adesione ai precetti coranici. Ma la diffusione del fenomeno su vasta scala risale alla fine degli anni ’70, in coincidenza con la rivoluzione khomeinista in Iran e con la resistenza dei combattenti afghani all’occupazione sovietica.
Il carattere militante e aggressivo di un certo islamismo radicale – manifestatosi in forma emblematica soprattutto con gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle di New York – ha fatto sì che il fondamentalismo islamico venisse avvertiro in Occidente (e in molti degli stessi paesi musulmani) come una minaccia permanente e come l’emergenza prioritaria del nostro tempo. Ciò non deve tuttavia far dimenticare che il fondamentalismo in quanto tale non è un carattere esclusivo dell’islamismo.
Esiste un fondamentalismo evangelico, forte soprattutto negli Stati Uniti, legato alla destra conservatrice e impegnato nella battaglia contro le teorie evoluzioniste e contro la pratica dell’aborto.
Esiste un fondamentalismo cattolico, che si batte contro le innovazioni del Concilio Vaticano II.
Esistono gruppi fondamentalisti ebraici, diffusi sia in Israele sia negli Stati Uniti.
Esiste un fondamentalismo induista, che in India si è spesso scontrato con la minoranza musulmana.
Non è detto che si tratti per ciascuno di essi di fenomeni necessariamente violenti, ma testimoniano di certo la presenza di vaste aree di disagio e di reazione tradizionalista, che i processi di modernizzazione hanno allargato e acuito.