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Forme preletterarie latine: orali, scritte, drammatiche

Riassunto di Letteratura latina su forme preletterarie latine: orali, scritte, drammatiche. Per conoscere e memorizzare rapidamente.

Forme preletterarie latine orali

Prima della nascita della letteratura latina – che coincide con la prima rappresentazione teatrale di Livio Andronico nel 240 a.C. – vi è stata un’abbondante produzione letteraria anonima, trasmessa oralmente e pervenuta fino a noi tramite testimonianze e citazioni di autori posteriori.

All’interno delle forme preletterarie latine orali rientrano i carmina (termine che deriva da canere, ovvero cantare). I carmina racchiudono quella parte di produzione preletteraria che veniva cantata o recitata. Vi erano carmina riguardanti la poesia religiosa e quelli riguardanti la poesia celebrativa.

La poesia religiosa comprende:

  • Il Carmen Fratrum Arvalium: cantato da dodici sacerdoti durante la cerimonia della lustrato, cioè della purificazione dei campi (arva) che si svolgeva agli inizi di maggio e durava tre giorni.
  • Il Carmen Saliare: legato al culto di Marte. Secondo la tradizione, durante un’epidemia scoppiata a Roma, cadde dal cielo uno scudo di bronzo; fu interpretato come un segno della protezione di Marte accordata alla città, anche perché l’epidemia subito dopo si arrestò. Numa Pompilio, in seguito, fece fabbricare undici scudi uguali per evitare che quello originale venisse riconosciuto e trafugato. I Salii, i dodici sacerdoti preposti alla custodia degli scudi, due volte all’anno (marzo e ottobre) portavano gli scudi in solenne processione per le vie della città. A ogni postazione i sacerdoti cantavano e saltellavano, battendo tre volte il piede pesantemente sul suolo e percuotendo con una lancia gli scudi per formare un ritmo frenetico.
  • Il Carmen Lustrale: una preghiera innalzata a Marte dal pater familias in occasione della festa degli AmbarvaliaEgli pregava il dio di tenere lontani dai campi i morbi visibili e invisibili, la sterilità e la devastazione, il maltempo e le bufere, e lo supplicava di custodire pastori e greggi e di concedere buona salute a lui e alla sua famiglia.

La poesia celebrativa comprende:

  • Carmina Convivalia: carmi celebranti le imprese degli antenati, cantati a turno dai giovinetti di buona famiglia, dopo il banchetto (convivium). Lo scopo principale era quello di accendere nei cuori dei giovani e degli ascoltatori l’amore per la patria e il desiderio di gloria.
  • Il Carmen Priami: di cui conserviamo, trasmessoci da Varrone, un unico verso, un saturnio («Veteres Casmenae, cascam rem volo profari», «o antiche Muse, voglio raccontarvi una storia antica»), che testimonia la volontà dei Romani di legare la loro storia al mito troiano di origini remote.
  • Il Carmen Nelei: di esso abbiamo solo pochi frammenti che narrano delle vicende di Neleo e Pelia, gemelli dapprima salvati da pastori, poi in lotta fra loro per il potere in Tessaglia (storia molto simile a quella dei fondatori di Roma).
  • I Carmina Triumphalia: canti innalzati dai soldati durante la cerimonia del trionfo, pieni di irrisione, scherno, pungente ironia contro il generale vittorioso. Motivazione di questo atteggiamento offensivo non punito è da collegare con lo spirito superstizioso dei Romani, i quali ritenevano che quanto più uno era felice, tanto più era oggetto di invidia da parte degli uomini e degli dèi. Le irrisioni dei soldati avevano quindi funzione apotropaica, cioè preservavano il generale da eventuali disgrazie. Non ci è pervenuto nessun frammento di carme trionfale del periodo arcaico. Però c’è n’è uno su Cesare, tramandatoci da Svetonio. Questi riferisce che durante il trionfo gallico i soldati, tra le altre strofe scherzose, cantavano contro il generale anche questi versi, di tono licenzioso, allusivi alla sua omosessualità:

Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem:

ecce Caesar nunc triumphat qui subegit Gallias,

Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem.

Cesare sottomise le Gallie, Nicomede Cesare:

ecco ora trionfa Cesare, che sottomise le Gallie,

e non trionfa Nicomede che sottomise Cesare.

  • Le Laudationes Funebres (orazioni): discorsi funebri pronunciati o da un parente o da un’alta autorità a conclusione del funerale. Il discorso magnificava non solo le virtù del defunto, ma anche di tutti i suoi avi. Così si trasmetteva di generazione in generazione la gloria della gens e i giovani erano stimolati ad emulare le gesta degli illustri predecessori. Queste orazioni venivano poi trascritte e conservate negli archivi di famiglia.

Forme preletterarie latine scritte

Le forme preletterarie latine scritte sono connesse a due ambiti:

  1. al Diritto. Tutto il diritto del romano arcaico è contenuto in un corpus di leggi creato nel V secolo a.C., le cosiddette Leggi delle XII Tavoleiscritte su dodici tavole di bronzo.
  2. alla Cronaca Storica. Alla base della storiografia vi erano gli Annales Pontificum: negli anni del periodo regio, il pontefice massimo annualmente stilava una lista dei magistrati in carica e dei principali avvenimenti accaduti nella vita della città (conquiste, trattati, elezioni, trionfi ecc.). Consistevano in una serie di tavolette di legno sbiancate con la calce ed esposte dal pontefice sopra l’ingresso della propria casa.

Altri documenti preletterari della tradizione scritta sono:

  1. Fasti. Una sorta di calendario in cui i giorni dell’anno erano divisi in fasti e nefasti, ovvero quando era lecito o meno amministrare la giustizia e sbrigare gli affari pubblici.
  2. Commentarii. Annotazioni degli eventi politici, civili e religiosi più importanti.
  3. Foedera. Patti e alleanze stipulate di cui non ci è pervenuto alcun frammento.

Forme preletterarie latine drammatiche

Accanto a queste forme letterarie dotte, vi era anche una vasta produzione di componimenti prevalentemente drammatici indirizzati al popolo. Tra questi distinguiamo:

  • Fescennini: sono una sorta di farse della vita campagnola, con protagonisti i contadini che si scambiano frasi volgari e oscene. Orazio tramanda che all’inizio tali scherzi erano inoffensivi, ma in seguito mirarono ad attaccare le persone più in vista, per cui si approvò una legge che ne limitava l’asprezza e la violenza.
  • La Satura: spettacolo complesso in cui dialoghi fatti di facezie e rozze volgarità erano accompagnati dal suono di un flauto, da danzatori professionisti e da un’azione scenica curata. Inizialmente derivata dagli Etruschi, dal III secolo a.C. la Satura si divise in due percorsi diversi: da una parte si sviluppò la commedia artistica regolare a imitazione di quella greca, dall’altra fu continuato lo spettacolo giocoso e sboccato, tipicamente popolare.
  • L’ Atellana: una farsa rustica in cui personaggi-tipo tradizionali venivano inseriti in situazioni ridicole. I personaggi (o maschere) principali erano 5: Maccus e Bucco (gli ingordi), Pappus (il vecchio scemo), Dossenus (vecchio furbo), Manducus (l’orco).
    L’ Atellana si sviluppava come una rappresentazione che esasperava i vizi e i difetti di uomini comuni, come il contadino o il forestiero, o prendendo di mira tipi umani, quali l’ingordo o il lussurioso, tutto caratterizzato sempre da una spiccata volgarità e oscenità.
    Il linguaggio adottato era convenzionale e le situazioni e gli intrecci erano piuttosto ripetitivi. Gli elementi di novità dipendevano dall’improvvisazione dell’attore, dalla sua bravura nella gestualità e dal repertorio che poteva esibire.
  • Il Mimo: l’unico spettacolo d’arte drammatica che ha matrice greca, sorto probabilmente nel periodo dorico e diffusosi in tutta la Magna Grecia. I maggiori scrittori di mimi furono i siracusani Sofrone e Teocrito, vissuti rispettivamente nel V e nel III secolo a.C.
    Il Mimo riproduce realisticamente scene di vita quotidiana in cui gli attori recitavano senza maschera, per esprimersi attraverso la mimica facciale.
    L’assenza delle maschere comportò per la prima volta la necessità di inserire all’interno di ogni compagnia teatrale le donne, ma ciò contribuì a rendere il mimo lo spettacolo meno stimato e accompagnato da un’ immagine di miseria, soprattutto perché tali compagnie girovagavano di paese in paese per trovare una piazza dove potessero allestire i loro spettacoli.

 

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