Francesco Guicciardini è una delle più grandi personalità del Rinascimento e il primo grande storico dell’età moderna.
La vita
Francesco Guicciardini nacque a Firenze il 6 marzo 1483. Dopo gli studi di giurisprudenza e il matrimonio con Maria Salviati, ebbe una serie di incarichi pubblici, dapprima per conto della Repubblica, poi dei Medici (1508-1516).
Un secondo periodo di attività politica vede Francesco Guicciardini al servizio dei papi Medici, Leone X (1513-1521) e Clemente VII (1523-1534).
Con il sacco di Roma del 1527 e la restaurazione della Repubblica, fu costretto a ritirarsi per un breve periodo a vita privata (1527-1530).
Dopo la caduta della Repubblica (1530), Francesco Guicciardini rientrò a Firenze ricoprendo varie mansioni per conto dei Medici e di Clemente VII. Dal 1537 si ritirò nella villa di Santa Margherita in Montici presso Arcetri, dove morì il 22 maggio 1540.
Le opere di Guicciardini e il confronto con Machiavelli
Francesco Guicciardini destinò alla pubblicazione solo la Storia d’Italia. Gli altri scritti restarono inediti sino al XIX secolo, eccetto i Ricordi pubblicati, postumi, per la prima volta nel 1576.
Fra gli scritti politici meritano attenzione soprattutto il Discorso di Logrogno del 1512 e il Dialogo del reggimento di Firenze, composto in due libri fra il 1522 e il 1526. In essi Francesco Guicciardini prende posizione sia contro il regime democratico e popolare (il popolo, dirà nei Ricordi, è un «animale pazzo», inaffidabile e anarchico), sia contro la tirannia perché il potere del singolo tende a essere «bestiale e crudele». La tesi di Guicciardini è che non esistono ricette universali valide dovunque e comunque, ma che bisogna giudicare caso per caso. Nel caso di Firenze, Guicciardini è favorevole a un “governo misto”, in cui il potere sia gestito da un Senato, composto da 150 liberi ottimati o aristocratici, da un consiglio ristretto di dieci e da un gonfaloniere a vita. È chiaro che le preferenze dell’autore vanno al partito dei moderati e in particolare a quella aristocrazia cittadina di cui faceva parte anche la famiglia Guicciardini.
Sul piano teorico, il confronto con le posizioni di Machiavelli è condotto soprattutto nelle Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli sulla prima Deca di Tito Livio, scritte intorno al 1529 in due libri e rimaste incompiute.
In esse Francesco Guicciardini sottopone ad analisi minuta singole affermazioni o particolari nuclei teorici di Machiavelli. Si tratta dunque di Considerazioni alquanto frammentarie, volte piuttosto a decostruire il pensiero di Machiavelli che ad avanzare proposte alternative o a costruire un diverso sistema concettuale. In genere si può dire che, per quanto Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini fossero amici fra loro e accomunati da un’analoga spregiudicatezza laica e materialistica di pensiero, divergono su un piano sostanziale: mentre Machiavelli tende a «parlare generalmente» (come dice Guicciardini) e a stabilire regole universali basandosi anche sulla lezione della storia, Guicciardini crede solo all’esperienza e alla necessità di giudicare caso per caso. In particolare Guicciardini reputa inutile, in quanto astratto e utopistico, prendere a riferimento la storia romana: nei Ricordi dirà che, come gli asini non potranno mai imitare i cavalli, così i moderni non potranno mai imitare gli antichi. Insomma in Machiavelli resta un elemento di utopia che in Guicciardini scompare. E inoltre Machiavelli mira alla sintesi, Guicciardini all’analisi dei casi particolari.
Il capolavoro storiografico di Francesco Guicciardini è la Storia d’Italia clicca qui.