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Gandhi – il Mahatma, la Grande Anima

Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma ossia la “Grande Anima“, fautore della nonviolenza e padre dell’indipendenza indiana.

Gandhi nacque a Porbandar (India) il 2 ottobre 1869 da una famiglia appartenente alla casta dei mercanti (vaishya). Studiò legge a Londra, poi soggiornò in Sudafrica (1893-1914), dove si dedicò all’assistenza materiale, spirituale e legale dei suoi connazionali là emigrati.

Ritornato in India (1915-1948), cominciò a viaggiare per il Paese e si rese conto delle reali condizioni e i modi di vita della gente.

Nel 1916 fondò nel Gujarat un ashram, cioè una sorta di comune agricola. Questa era anche luogo di meditazione e divenne il quartier generale dei movimenti da lui organizzati. Si delineò intanto il suo metodo di iniziativa politica, basato sulla resistenza passiva, la disobbedienza civile, il boicotaggio delle merci inglesi, ma rigorosamente non violento.

Divenne presidente del Congresso nazionale indiano, la maggiore organizzazione politica del Paese. Dopo il 1922 si inasprì il problema della discriminazione castale e il conflitto tra indù e musulmani. Gandhi si appartò allora per qualche tempo dalla politica attiva, dedicandosi a un’opera di rieducazione delle masse rurali. Intanto il Congresso, guidato da Iawaharlal Nehru, continuava la linea della disobbedienza civile, con il fine di ottenere la piena indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna.

Anche Gandhi si unì attivamente alla campagna anti-inglese, finché si raggiunse l’accordo di Delhi (1931). Con tale accordo i Britannici si impegnarono a liberare tutti i prigionieri politici, legittimare la raccolta del sale per uso casalingo delle popolazioni costiere, riconoscere il diritto degli indiani di boicottare i tessuti inglesi. Gandhi da parte sua s’impegnò a sospendere il movimento di disobbedienza civile.

Di fatto, però, non ci furono miglioramenti nei rapporti tra i due Paesi e, alla ripresa della disobbedienza civile, il governo inglese reagì con durezza.
Incarcerato, Gandhi subordinò il problema dell’indipendenza politica a quello del riscatto degli appartenenti alla classe degli intoccabili.

Intanto il Congresso otteneva buon successo politico e questo provocò l’irrigidimento della minoranza musulmana, che temeva di veder schiacciata la propria identità politica e religiosa da parte degli indù. Gli attriti tra i due gruppi religiosi divennero sempre più frequenti: sembrava ormai inevitabile la scissione del subcontinente indiano in India e Pakistan.

Il 15 agosto 1947 fu finalmente proclamata l’indipendenza dalla Gran Bretagna, nel Punjab, diviso tra India (con popolazione per lo più induista) e Pakistan (abitato prevalentemente da musulmani). Scoppiò una sanguinosa guerra di religione che causò un milione di morti e più di sei milioni di profughi: gli indiani di fede musulmana emigrarono in Pakistan, mentre i pakistani di religione induista si rifugiarono in India.

Quel popolo che, in nome dell’indipendenza, era stato non violento fino all’estremo sacrificio di sé, cadde poi preda del fanatismo religioso lasciando stupefatto il mondo che tanto lo aveva ammirato. Lo stesso Gandhi fu ucciso a Nuova Delhi il 30 gennaio 1948 da un induista estremista, Nathuram Godse, mentre si recava a una riunione di preghiera. Prima di sparare si chinò di fronte al Mahatma.

Per la sua ideologia della resistenza passiva, il suo nome viene accostato a quello di Martin Luther King.

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