Il genocidio in Cambogia e il regime dei Khmer Rossi: riassunto di Storia
Protettorato francese dal 1863, il regno della Cambogia, nel Sud-Est asiatico, ottenne l’indipendenza nel 1953. Due anni dopo, il re Norodom Sihanouk abdicò e organizzò un movimento politico, la Comunità Socialista Popolare, che mantenne il potere fino alla fine degli anni Sessanta. In politica estera, Sihanouk seguì una posizione di neutralità, mirando sia a preservare l’indipendenza della Cambogia sia a non coinvolgerla nel conflitto che stava interessando il vicino Vietnam (Leggi la Guerra del Vietnam clicca qui).
Nel 1970 il generale Lon Nol, appoggiato dagli esponenti dell’ala destra e dalla CIA, rovesciò Sihanouk e, dopo una feroce repressione, il 15 marzo 1970 istituì la Repubblica Khmer.
Il leader Sihanouk, che godeva ancora di una forte influenza sulla popolazione ormai sfinita dalle violenze, dalla fame e dai combattimenti, si alleò allora con i Khmer Rossi, guerriglieri comunisti guidati da Pol Pot, sostenuti dall’esercito popolare vietnamita.
Il regime di Lol Nol, nonostante gli aiuti degli Stati Uniti, perse progressivamente il controllo del territorio e nel gennaio 1975 le forze comuniste, la cui ala più estremista era capeggiata da Pol Pot, posero sotto assedio la capitale Phnom Penh.
Il 17 aprile 1975 Phnom Penh capitolò, ma quella che doveva essere una liberazione si rivelò subito un incubo. Tutte le libertà fondamentali e i simboli della civiltà occidentale furono spazzati via: automobili, attrezzature mediche, elettrodomestici vennero distrutti, gli edifici pubblici e privati demoliti, la proprietà privata e la moneta soppresse. Ogni forma di cultura, considerata fonte di corruzione, fu eliminata: i libri bruciati, le scuole abolite, chiunque avesse un’istruzione di medio livello, parlasse una lingua straniera o fosse semplicemente sorpreso a scrivere sarebbe stato immediatamente ucciso.
Gli abitanti delle città, compresi i ricoverati negli ospedali, furono trasferiti nelle campagne in campi di lavoro e di “rieducazione”, dove erano proibite persino le relazioni familiari: le famiglie furono separate, i bambini e i ragazzi sottratti ai genitori e sottoposti all’educazione imposta dal partito.
La Cambogia si trasformò in un grande campo di lavori forzati: masse di contadini scheletrici e terrorizzati vestiti con una casacca nera dovevano produrre 3 tonnellate di riso per ettaro, contro la media precedente di una tonnellata, lottando quotidianamente contro la fame, le pessime condizioni igieniche e la brutalità dei Khmer Rossi.
Quello dei Khmer Rossi fu uno dei regimi più cupi e sanguinosi del XX secolo: in quattro anni causò la morte di 2 milioni di persone, ovvero di circa un terzo degli abitanti. In proporzione si trattò di un dramma di dimensioni ben superiori alle persecuzioni naziste o staliniane.
Nel 1979 il Vietnam invase la Cambogia e pose fine al regime dei Khmer Rossi. Dopo il suo ritiro la situazione di guerriglia e di guerra civile continuò a protrarsi e richiese l’intervento dell’ONU per cercare di raggiungere un accordo di pace e consentire libere elezioni.
Nel 1993 venne richiamato Norodom Sihanouk, che durante il regime aveva trovato scampo a Taiwan, e si formò un governo di coalizione. A causa delle loro incessanti azioni di guerriglia, i Khmer Rossi furono dichiarati fuorilegge; indebolitisi progressivamente, isolarono Pol Pot (la cui morte, forse avvenuta per cause naturali o forse procurata dagli stessi Khmer Rossi, è fatta risalire al 1998) e finalmente deposero le armi.
A testimonianza del genocidio in Cambogia rimangono oggi le camere di tortura e migliaia di fotografie di prigionieri conservate a Tuol Sleng Genocide Museum, il carcere allestito nella sede dell’ex liceo di Phnom Penh e ribattezzato Ufficio di Sicurezza 21 (S-21), in cui circa 170 000 cambogiani, tra cui migliaia di bambini, furono schedati e fotografati, torturati per estorcere loro una confessione di colpevolezza e infine giustiziati: di quei prigionieri solo sette riuscirono a sopravvivere.
Al genocidio in Cambogia seguì tristemente il genocido di Tutsi in Ruanda nel 1994.