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Giovanni Giolitti: i cinque governi, le riforme, i rapporti con Mussolini

Giovanni Giolitti (1842-1928) rappresenta una delle figure più importanti della politica italiana dopo l’Unità e con i suoi cinque governi (tra il 1892 e il 1921) ha diretto la vita politica dell’Italia a cavallo di due secoli.

Molti storici attribuiscono a Giovanni Giolitti molti meriti nella modernizzazione dell’Italia. Ma da molti suoi contemporanei fu accusato di essere un politico spregiudicato, di favorire il clientelismo (cioè i favori dei politici in cambio di voti) e il trasformismo (oscillava continuamente tra posizioni progressiste e conservatrici, a seconda di ciò che gli ritornava più utile). Tra i suoi più implacabili avversari ci fu Gaetano Salvemini (1873-1957), storico, politico e antifascista. Questi accusava Giolitti di mantenere volutamente il Sud dell’Italia in condizione di grande arretratezza, prima di tutto politica, e di praticare senza scrupoli brogli e violenze elettorali, pur di legare a sé i deputati meridionali. Per questo Salvemini chiamò Giolitti il “ministro della malavita“.

I 5 governi Giolitti e le riforme

Il suo primo governo (maggio 1892-dicembre 1893) ebbe vita breve a causa dello scandalo della Banca Romana, che portò alla luce le illegali commistioni tra politica e finanza. Pur non particolarmente coinvolto, Giolitti fu costretto alle dimissioni.

Durante i suoi 4 governi successivi (1903-05, 1906-09, 1911-14, 1920-1921)

  • si affermò il diritto inalienabile dei lavoratori ad avere le proprie associazioni sindacali. Ciò permise nel 1906 la nascita della Cgl (Confederazione generale del lavoro), alla quale nel 1910 la borghesia industriale rispose costituendo la Confindustria (Confederazione italiana dell’industria);
  • furono attuate importanti riforme, per esempio la conversione delle ferrovie, che erano private e quasi tutte in mano ai capitalisti francesi e inglesi, in Ferrovie dello Stato;
  • si decisero interventi speciali a favore dell’industrializzazione del Mezzogiorno (ad esempio l’industrializzazione di Napoli con la costruzione del complesso di Bagnòli e la costruzione dell’acquedotto pugliese);
  • durante il quarto ministero, Giovanni Giolitti avviò la conquista della Libia (1911-12); istituì  un monopolio statale delle assicurazioni sulla vita (INA, 1912), i cui proventi dovevano servire a finanziare il fondo per le pensioni di invalidità e vecchiaia dei lavoratori; introdusse, sempre nel 1912, il suffragio universale maschile (voto ai maggiori di 21 anni alfabetizzati o che avessero prestato servizio militare e anche agli analfabeti dai 30 anni in su); siglò il Patto Gentiloni con i cattolici, per assicurarsene il sostegno alle elezioni del 1913. Le polemiche suscitate da quest’ultima iniziativa però lo indussero alle dimissioni. Il governo venne allora affidato dal re Vittorio Emanuele III, su indicazione dello stesso Giovanni Giolitti, al giurista moderato e conservatore Antonio Salandra (1853-1931).

Quando nel 1915, un anno dopo aver lasciato la guida del governo, Giolitti si pronunciò contro l’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale, divenne il simbolo dell’Italia mediocre e meschina, l’ostacolo principale a qualsiasi progetto di rinnovamento del paese. E come tale fu duramente contestato. Una volta deciso l’intervento, pur avendo ancora un cospicuo seguito in Parlamento, si astenne dalle pubbliche critiche ai governi in carica e si appartò.

Il quinto governo Giolitti

Nel 1920, nel pieno del biennio rosso, Giolitti fu di nuovo a capo del governo. Ma nonostante il suo precedente equilibrismo tra socialisti (politica riformista), cattolici (Patto Gentiloni) e nazionalisti (guerra di Libia), non riuscì a legarsi stabilmente nessuna di queste forze, né a “costituzionalizzare” il movimento fascista, di cui sottovalutò la carica eversiva.

Nel giugno del 1921, dopo il risultato deludente delle elezioni politiche che egli stesso aveva voluto per ricostituire una forte maggioranza liberale, Giolitti si dimise. Sperava probabilmente di rientrare in posizione di forza, ma i tempi erano cambiati così come erano cambiati i protagonisti della politica.

Giovanni Giolitti e il fascismo

Giolitti col fascismo non volle mai confondersi, mantenendo nei confronti del movimento di Mussolini un atteggiamento di orgoglioso distacco. Solo nell’autunno del 1924, dopo il delitto Matteotti, si decise a passare all’opposizione assieme ai pochi liberali rimasti nella Camera, senza partecipare alla secessione dell’Aventino.

Giolitti si recò alla Camera l’ultima volta nel 1928 per esprimere il suo dissenso verso la nuova legge elettorale che prevedeva che l’elettore potesse dire sì o no a una lista di 400 candidati compilata dal Gran Consiglio del Fascismo. Pochi mesi dopo (17 luglio 1928) Giovanni Giolitti morì nella sua casa di Cavour.

 

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