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Giulio Cesare di Shakespeare riassunto e analisi

La tragedia Giulio Cesare Shakespeare l’ha scritta tra il 1598 e il 1599, durante l’età elisabettiana, ispirandosi alle Vite parallele di Plutarco. È la prima delle tre tragedie ispirate alla storia di Roma. Seguiranno Antonio e Cleopatra e Coriolano, scritti tra il 1606 e il 1609.

Giulio Cesare di William Shakespeare – trama

Nella tragedia Giulio Cesare Shakespeare mette in scena la più famosa congiura della storia, quella contro Giulio Cesare, che, incurante del monito di un indovino di guardarsi dalle Idi di Marzo, verrà ucciso proprio in quel giorno, il 15 marzo del 44 a.C.

Giulio Cesare di Shakespeare riassunto

L’azione si svolge dunque nel 44 a.C. a Roma e nel finale in Grecia. I senatori Casca, Trebonio, Ligario, Decio, Metello Cimbro e Cinna convincono Bruto, figlio adottivo di Cesare e noto per il suo valore e la sua integrità, a partecipare a una congiura ordita da Cassio contro Cesare, e distruggere così con lui i pericoli di una dittatura. Cassio in realtà non sa rassegnarsi all’idea che il suo vecchio amico Cesare, un tempo suo pari, sia salito tanto in alto.

Dopo l’assassinio di Giulio Cesare in Senato, giunge il console Marco Antonio, uno dei principali esponenti del partito cesariano, che si dichiara non ostile ai congiurati e chiede loro di organizzare i funerali di Cesare e di pronunciarne l’elogio funebre. Bruto gli accorda il permesso nella speranza di fare di lui un alleato nella contesa per il potere, ma a condizione che non parli contro i congiurati.

Il discorso di Bruto al popolo romano

Ma prima di lasciare la parola ad Antonio, Bruto si rivolge al popolo romano: spiega e giustifica la sua partecipazione alla congiura; elogia Cesare per il suo coraggio, i suoi trionfi, la sua generosità, ma ne denuncia le ambizioni e il desiderio di un potere assoluto. Bruto convince la folla e ne conquista il consenso.

Il discorso di Marco Antonio ai Romani

Subito dopo però ecco avanzare tra la gente Marco Antonio, fedele amico di Cesare. Antonio usa un altro artificio retorico. Rende anzitutto omaggio a Bruto definendolo “uomo d’onore”, ma a questo omaggio, più volte ripetuto, fa seguire l’elenco dei grandi meriti di Cesare, fra cui il rifiuto della corona, quando gli fu offerta nel Foro, e la straodinaria generosità con cui contribuì, dopo le sue vittorie, a rimpolpare le casse dello Stato, e a rendere più prosperi i suoi concittadini.

Ora la folla oscilla tra reazioni diverse (ha finito di ascoltare sia l’appello ai sentimenti repubblicani del popolo romano, nelle parole di Bruto, che la compassione per l’uomo generoso ucciso a tradimento, nelle parole di Antonio); Antonio coglie abilmente quel momento cruciale per infiammare definitivamente gli animi del popolo romano contro i congiurati: ha trovato il testamento di Cesare e quando annuncia che Cesare ha lasciato a ogni cittadino romano la somma di 75 dracme e a tutto il popolo i suoi parchi e giardini, il popolo si arma di torce, aste, bastoni, e corre alla ricerca degli assassini di Cesare. I congiurati sono allora costretti a lasciare Roma per evitare il linciaggio.

Antonio dal canto suo stringe invece un’alleanza (il cosiddetto secondo triumvirato) con Ottaviano, pronipote e figlio adottivo di Cesare, appena giunto a Roma, e Lepido: insieme si preparano a dare battaglia ai cesaricidi.

Mentre in Grecia Bruto e Cassio si preparano alla guerra, lo spettro di Cesare appare in sogno a Bruto, annunciandogli la sua prossima sconfitta (Ci rivedremo a Filippi), che avverrà nella battaglia di Filippi, per mano delle truppe di Marco Antonio e Ottaviano. Bruto e Cassio si suicidano pur di non cadere nelle mani dei nemici. Cassio si fa uccidere da uno schiavo; Bruto si trafigge, cadendo sulla propria spada.

Giulio Cesare Shakespeare analisi

Anche se è Cesare il personaggio intorno a cui ruota tutta l’azione, egli appare soltanto in tre scene, pronuncia meno di 150 versi, e viene ucciso nell’atto terzo, scena I (il dramma si compone di cinque atti). In realtà è Bruto a essere al centro del dramma per il suo conflitto interiore tra affetto nei confronti del padre adottivo e patriottismo.

Shakespeare si allontana da Plutarco, secondo cui le ultime parole di Cesare sarebbero rivolte a Casca, e recupera la frase di Svetonio, Tu quoque Brute fili mi, rivolta da Cesare a Bruto, secondo Svetonio pronunciata però in greco, che riporta tragicamente alla centralità del dilemma morale di Bruto. Nel testo originale in inglese è riportato: Et tu Brute? Then fall Caesar (Anche tu Bruto? Cadi allora Cesare).

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