Chi erano i gladiatori
I gladiatori erano i lottatori dell’antica Roma. Il nome deriva da gladio, una piccola spada corta usata molto spesso nei combattimenti. Erano schiavi o prigionieri di guerra o persone condannate per qualche reato. In qualche caso erano liberti o addirittura uomini liberi caduti in miseria.
Le scuole di gladiatori
È molto probabile che tra i gladiatori ci fossero anche veri e propri professionisti del combattimento. Esistevano, infatti, scuole di addestramento (per esempio a Capua e a Pompei), nelle quali un ex gladiatore oppure un impresario (lanista) allenava i gladiatori in gruppi, detti familiae.
Nelle scuole veniva insegnato ai gladiatori anche come morire sull’arena. Lo sconfitto doveva saper morire con dignità, porgendo volutamente la gola al vincitore. Questi con un gesto teatrale faceva roteare la spada prima di affondarla nel collo del vinto. Il cadavere veniva poi trascinato via dall’arena da inservienti travestiti da Caronte mentre squilli di tromba salutavano il vincitore. Il vincitore riceveva la palma della vittoria o una corona, insieme al premio in denaro.
Al gladiatore vittorioso dunque spettavano il benessere e il successo. Dopo molte vittorie, un gladiatore poteva addirittura ottenere il congedo. Ma anche allora il successo era una droga, quindi capitava che preferisse rinunciare al congedo e continuare a combattere, malgrado l’altissima probabilità di rimanere uccisi.
In una scuola per gladiatori a Capua finì Spartaco. Questi nel 73 a.C. diede inizio a una rivolta, coinvolgendo nella fuga altri gladiatori, cui poi si unirono alcune migliaia di schiavi fuggiaschi.
I giochi gladiatori a Roma
Secondo le fonti antiche, i ludi o giochi gladiatorii avevano un’origine funeraria e sarebbero derivati dall’uso di offrire sacrifici umani per placare i Mani, cioè gli spiriti dei defunti.
Servio (grammatico latino, IV-V sec. d.C.) nel commento ad un passo dell’Eneide (10, 519), afferma: «Era costume che nelle tombe dei grandi uomini venissero uccisi dei prigionieri. Dopo che quest’uso venne considerato crudele, si decise che davanti alle tombe combattessero dei gladiatori».
Col tempo, i Romani si affezionarono a questa usanza, che in seguito si svincolò dall’aspetto rituale, divenendo un vero e proprio spettacolo, che acquistò un’importanza sociale e politica sempre maggiore.
Verso la fine della Repubblica, e più ancora durante l’Impero, i giochi gladiatori divennero anche un mezzo per assicurarsi il consenso elettorale.
Nei giorni precedenti i giochi gladiatori veniva fatta pubblicità e veniva affisso per la città il programma. Su questo era evidenziato il nome di chi finanziava i giochi e il motivo per cui venivano fatti. Inoltre vi erano tutte le altre indicazioni: la data, l’ora, il luogo in cui si sarebbero svolti, il nome dei gladiatori ecc.
La sera prima, gli editores, ovvero i finanziatori dei giochi, offrivano ai gladiatori una cena libera, aperta a tutti. Durante la cena ai morituri (coloro che stanno per morire) era permesso tutto e gli estranei avevano l’occasione di osservarli da vicino e valutarne le capacità fisiche per programmare le scommesse. Malgrado queste fossero illegali, attorno ai combattimenti ruotava un grosso giro di denaro.
L’inizio dei giochi gladiatori era preceduta dalla pompa gladiatoria, cioè la sfilata che faceva ingresso nell’arena. Essa era composta dal promotore dei giochi, dai littori e dai musicisti. Ma c’erano anche le portantine con i premi dei vincitori, i simboli, le armi e infine i veri protagonisti dei giochi, i gladiatori, i venatores e i condannati.
I giochi duravano dall’alba fino al tramonto. Spesso si prolungavano in spettacoli notturni in una suggestiva arena illuminata da fiaccole.
I combattimenti
Lo spettacolo prevedeva in genere più duelli in contemporanea e talvolta un combattimento a squadre.
Quando un gladiatore finiva a terra ferito poteva chiedere la grazia al vincitore alzando il braccio. Quest’ultimo si rivolgeva al magistrato che presiedeva i giochi (o all’imperatore stesso, se presente), il quale di solito interpellava gli spettatori. Se il pubblico aveva apprezzato il coraggio e l’abilità del gladiatore perdente, gridava Mitte! (“Mandalo via!”) e lo sconfitto aveva salva la vita. Se invece la folla mostrava il pugno con il pollice rivolto in basso (pollice verso) e gridava Iugula! (“Sgozzalo”!) e il magistrato confermava il verdetto, la grazia era negata e lo sfortunato veniva ucciso.
Non tutti gli spettatori però apprezzavano le feroci esibizioni. Il filosofo Seneca (4 a.C.-65 d.C.), ad esempio, riteneva che esse inducessero la folla a cattivi comportamenti.
Talvolta, oltre ai duelli, c’erano le venationes («cacce»), cioè scontri fra gladiatori (detti bestiarii) e belve feroci, come pantere, tigri, elefanti, rinoceronti e orsi. Si concludevano sempre con un’ecatombe, come accadde quando l’imperatore Tito inaugurò il Colosseo: in un solo giorno vennero sacrificati oltre 5000 animali.
Durante i combattimenti venivano eseguite anche sentenze capitali, alle quali si cercava di dare una forma di spettacolo. La prima esecuzione documentata risale al 167 a.C., quando Lucio Emilio Paolo, detto il Macedone, dopo la vittoria su Perseo, re di Macedonia, fece calpestare dagli elefanti i disertori stranieri dell’esercito romano.
I condannati ad bestias inizialmente erano solo i disertori e i prigionieri di guerra, ma in seguito questo supplizio venne destinato anche ai criminali comuni e soprattutto ai cristiani.
Categorie di gladiatori romani
I gladiatori non erano tutti uguali. Si caratterizzavano per il modo di combattere e, di conseguenza, per il tipo di armamento utilizzato. Essi si distinguevano così:
- Retiarius: con una rete e un tridente, come quello del dio Nettuno. Doveva imbrigliare e gettare a terra l’avversario.
- Mirmillo: con un elmo a forma di pesce (di origine gallica) e uno scudo oblungo. Duellava in genere con il retiarius.
- Secutor (“inseguitore”): inseguiva il retiarius armato di spada, elmo e scudo.
- Thrax (“il trace”): armato come un soldato trace, con uno scudo rotondo (parma) e una spada ricurva.
- l’(H)oplomachus (dal greco oplomàchos, “combattente con armi pesanti”): indossava una robusta corazza di ferro e un elmo con visiera e brandiva una spada corta.
- Laquearius: lanciava sull’avversario un lazo (laqueus), lo atterrava e poi lo strangolava.
- Gli essedarii: combattevano su un carro (essedum).
- Sagittarius, armato di frecce.
Ce n’erano molti altri. In generale, comunque, tutte le armature dei gladiatori erano appariscenti, di metallo lucente e spesso decorate per poter essere visibili anche da grande distanza. Le loro tuniche e stoffe erano policrome.
La fine degli spettacoli gladiatori
Nel corso dei secoli, gli spettacoli gladiatori erano stati innumerevoli e tutti cruenti e sanguinosi, spesso vere e proprie carneficine. Non solo la violenza era accresciuta, ma anche lo splendore e il fasto con cui erano organizzati. Gli spettatori, infatti, volevano essere sempre stupiti e così si utilizzavano armature d’argento, animali esotici, coreografie spettacolari, musiche ed “effetti speciali”. Macchine roteanti che movimentavano le scenografie, ascensori e piani mobili che facevano salire dai sotterranei gladiatori e animali per riempire improvvisamente l’arena e così via.
Tuttavia anche questi giochi così amati dai Romani conobbero il declino. Il cristianesimo non poteva tollerare questi cruenta spectacula, tanto più che la condanna più diffusa per i martiri cristiani era proprio la damnatio ad bestias.
Dal III sec. d.C. in poi, la polemica contro i giochi gladiatori si fece sempre più aspra, soprattutto con la nascita della letteratura cristiana. Basti ricordare gli scritti di Tertulliano (De spectaculis, 12, 1-4), che equiparava i duelli tra gladiatori a veri e propri omicidi.
Lo svolgersi dei giochi gladiatori è comunque attestato da fonti epigrafiche, letterarie e archeologiche per tutto il IV secolo. Anche se in rare e sporadiche occasioni, essi continuarono ad essere praticati fino al V secolo.