Gli auguri e gli aruspici presso i Romani – Per i Romani, come per tutte le civiltà antiche, il rapporto con le divinità era fondamentale. Prima di affrontare un’attività (pubblica o privata) era necessario consultare gli dèi per essere certi di agire con il loro consenso.
I segni (signa) attraverso i quali gli dèi manifestavano la propria volontà erano molteplici. La divinazione (divinatio) era appunto l’arte di interpretare tali segni.
Il metodo divinatorio più antico era l’osservazione del volo degli uccelli praticato dagli àuguri (augures). I segni che essi interpretavano si chiamavano auspicia.
L’altra forma molto importante di divinazione era l’aruspicina, cioè l’esame delle interiora di animali sacrificati (exta), in particolare del fegato. Questo sistema era noto anche con il nome di Etrusca disciplina, poiché era stato importato a Roma dal mondo etrusco, in età molto antica (per un approfondimento leggi Etrusca disciplina, l’arte divinatoria degli Etruschi).
Depositari dell’arte aruspicina erano gli arùspici (haruspices), indovini, discendenti di quelli etruschi, che formavano un collegio denominato ordo haruspicum.
Gli arùspici davano le loro interpretazioni anche su altri fenomeni considerati presagi (omina). Gli omina erano parole o frasi che, pronunciate da qualcuno in modo apparentemente casuale, assumevano un significato profetico se le si sapeva interpretare.
Omina e auspicia erano considerati segni premonitori di un futuro immediato, che avvertivano gli uomini della volontà divina confermando oppure frenando le loro azioni.
C’erano poi i “prodigi” (prodigia), ovvero fenomeni imprevedibili, contro natura, paurosi perché segno della collera degli dèi e quindi di un pericolo imminente per la collettività.
Erano considerati prodigi le ecclissi di sole, apparizioni di meteore o comete, fulmini che cadevano in luogo pubblico o uccidevano uomini e animali, terremoti, nascite di animali o di bambini con gravi malformazioni.
All’apparire di questi fenomeni occorreva subito applicare rimedi religiosi, per espiare le mancanze commesse e ricomporre la “pax deorum”, la “pace con gli dèi” che garantiva la prosperità dello Stato.