Gorgia di Platone (sottotitolato Sulla retorica) è uno dei più celebri dialoghi giovanili del filosofo, composto probabilmente nel 386 a.C.
Nel Gorgia di Platone gli interlocutori sono, da un lato, Socrate (filosofo e maestro di Platone) e Cherefonte (allievo di Socrate), dall’altro Gorgia, spalleggiato dai discepoli Callicle (giovane aristocratico presso la cui casa Gorgia è ospite) e Polo (giovane discepolo di Gorgia).
La discussione iniziale verte intorno al valore della retorica, il possesso della quale consente all’uomo politico di raccogliere consensi e all’avvocato di vincere le cause.
Per Gorgia la retorica è, per così dire, una tecnica neutra: può servire a imporre la verità e l’errore, il bene e il male.
Per Socrate, al contrario, la retorica trionfa con l’inganno sulla debolezza critica delle anime semplici e non può mai dare la felicità, perché l’ingiustizia (ovvero la prevaricazione) rende in primo luogo infelice colui che la commette.
Quest’ultimo punto è contestato da Callicle, il teorico della giustizia come «diritto del più forte». Se si ritorna alla legge di natura, liberandosi dalla degenerazione apportata dalle convenzioni umane, si vedrà che il più forte (nel senso del più abile, il «migliore») ha in quanto tale il diritto di dominare i più deboli e che la felicità nasce dall’assecondare questa ovvia necessità naturale.
Segue la confutazione socratica di questa pericolosa dottrina.
Il dialogo si chiude con un mito escatologico che riguarda il giudizio delle anime dopo la morte: i giudici Radamanto, Eaco e Minosse destinano all’«isola dei beati» le anime dei giusti, al Tartaro quelle degli ingiusti.