Gulag è l’acronimo del russo Glavnoe upravlenie lagerej, ovvero “Amministrazione centrale dei lager”, cioè dei campi di lavoro forzato, istituita nel 1930. Il termine Gulag non indica quindi un luogo, ma un sistema o una rete diffusa di luoghi di repressione e di sfruttamento del lavoro schiavizzato.
In realtà i campi di lavoro forzato esistevano sin dal XVIII secolo, nella Russia zarista, ed erano riservati ai prigionieri politici, ai comuni criminali e agli oppositori dello zar. Sotto Lenin, nei campi furono rinchiusi individui considerati pericolosi per la rivoluzione e per la costruzione dell’Unione Sovietica.
Il primo vero lager dell’Unione Sovietica è quello organizzato nelle isole Solovki nel 1923 per gli oppositori politici e ideologici al regime comunista, ma anche per coloro che per la loro origine, posizione sociale o cultura sono ritenuti ostili al potere operaio e contadino.
La situazione muta nel 1929 con il varo del piano quinquennale, che prevede l’industrializzazione forzata. Lo Stato ha bisogno di molte braccia per l’esecuzione di lavori non qualificati, e la dirigenza del paese prende in considerazione l’idea di utilizzare il lavoro coatto dei detenuti.
Il governo dell’Urss decide di creare grandi “campi di rieducazione attraverso il lavoro” in regioni remote e scarsamente popolate e fredde dell’Unione Sovietica, dove è possibile sfruttare le risorse minerarie e forestali: nell’Estremo Oriente russo, nel Grande Nord siberiano, nella Siberia orientale, nella regione di Komi, nella penisola di Kola, nella Carella.
I prigionieri sono impegnati nella realizzazione di opere imponenti, poi esibite dal regime come straordinarie conquiste del socialismo. In appena venti mesi e con un enorme costo umano è realizzato ad esempio il canale che unisce il mar Bianco e il mar Baltico (Belomorkanal).
I campi di lavoro forzato russi sono utilizzati in modo massiccio durante il periodo del terrore staliniano (all’incirca tra il 1934 e il 1939). Tuttavia il picco più alto di detenuti si raggiunge nella primavera del 1950, con oltre 2.800.000 prigionieri.
La vita nei gulag russi
Gli individui rinchiusi nei gulag russi appartengono a qualsiasi ceto e a qualsiasi rango; sono accusati di «attività controrivoluzionarie» e «delitti contro lo Stato». Spesso sono condannati senza un regolare processo e senza nemmeno conoscere con precisione i capi di accusa. Altre volte il processo si svolge, ma le confessioni sono estorte con la tortura e le minacce.
Nei campi di concentramento russi il lavoro è massacrante. La manodopera è sfruttata per diboscare intere regioni, per estrarre minerali, per costruire canali, strade, ferrovie. Il cibo è scarso; frequente la diffusione di malattie. Per gran parte dell’anno però i principali nemici degli internati sono il freddo e il ghiaccio.
Nei gulag sovietici gli anni peggiori sono quelli della seconda guerra mondiale e quelli subito successivi.
Le carestie e le epidemie, l’intensità disumana dello sfruttamento della manodopera per fini bellici e l’incremento del numero degli internati innalzano infatti le percentuali di mortalità media.
Ai detenuti del passato si aggiungono inoltre coloro che si ritiene collaborino con il nemico oppure i gruppi nazionali colpiti dalla repressione attuata nei paesi che entrano a far parte dell’Unione Sovietica.
I gulag russi dopo la morte di Stalin
Dopo la morte di Stalin nel 1953 si procede a una riorganizzazione del sistema dei campi di lavoro forzato russi e una successiva amnistia diminuisce drasticamente il numero dei detenuti. Nikita Krusciov nel 1960 ne delibera lo smantellamento.
La pubblicazione nel 1973 del romanzo autobiografico di Aleksandr Solzenicyn, Arcipelago Gulag, ha fatto conoscere al mondo intero l’orrore dei gulag sovietici.
Gulag russi e campi di sterminio nazisti
È possibile comparare i gulag russi con i campi di sterminio nazisti? Se si considera la sofferenza umana sicuramente sì. Se invece si considerano le finalità e le modalità di gestione vi sono differenze significative.
Nel caso dei campi di concentramento russi, infatti, la morte dei prigionieri internati era una conseguenza altamente probabile ma non era frutto di una pianificazione espressamente desiderata. Nel caso dei campi di sterminio, invece, la morte era la ragione d’essere dei campi, la loro funzione.