I Celti, chiamati Galli dai Romani e Galati dai Greci, erano un insieme di popoli, che verso il 2000 a.C. si mossero dalla Germania meridionale tra il Reno e il Danubio per penetrare in Gallia (corrispondente ai territori attuali di Francia e Belgio) e in Inghilterra.
A partire dal VI secolo a.C., i Celti si mossero in più direzioni:
- verso Occidente, fino in Spagna (nella Galizia che ne ricorda il nome) dove si fusero con le tribù locali degli Iberi, dando origine ai Celtiberi;
- verso Oriente, nei Balcani e in Asia Minore;
- verso Sud, in Italia, giunsero tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. e si stanziarono in Piemonte, Lombardia, Emilia e Marche.
Dei Celti hanno raccontato Cesare, Erodoto, Livio, Polibio, Tacito ed altri.
Il De bello gallico di Cesare è senz’altro un documento di fondamentale importanza per la conoscenza del mondo celtico. Unita alle testimonianze archeologiche e a fonti letterarie più tarde, quest’opera consente di ricostruire gli aspetti principali della cultura celtica.
Secondo la terminologia di Cesare, gli insediamenti dei Celti si distinguevano in oppida (città), vici (villaggi) ed aedificia privata (singole fattorie). Questa classificazione è stata confermata dalle indagini archeologiche.
Gli oppida erano centri amministrativi, luoghi di mercato, sedi di santuari. Gli abitanti vi svolgevano anche attività artigianale, la cui alta qualità è attestata da numerosi ritrovamenti di attrezzi agricoli, armi, stoviglie di metallo, legno e ceramica, finimenti di cavalli e di carri, gioielli, bilance. Questa produzione non serviva soltanto al fabbisogno locale e alimentava un commercio a largo raggio che si svolgeva via terra e lungo i fiumi.
L’economia di scambio si basava anche sull’uso della moneta. I primi a introdurre monete nel mondo celtico erano stati i numerosi mercenari che avevano militato negli eserciti ellenistici. Le prime monete celtiche sono appunto imitazioni di esemplari ellenistici. Successivamente si sviluppò una monetazione originale, della quale sono rimasti nemerosi esemplari d’oro e d’argento.
Le città erano divise in quartieri e avevano strade e piazze ben allineate. Spesso le città avevano un’acropoli fortificata che occupava il luogo più alto ed era la sede dei governanti.
L’agricoltura celtica si basava soprattutto sui cereali e sugli ortaggi. La viticoltura fu introdotta dai Romani ed ebbe nei secoli successivi uno straordinario sviluppo.
L’allevamento era una risorsa molto importante. Le specie maggiormente diffuse erano i suini, allevati per la carne, i bovini, impiegati soprattutto per il traino e per la produzione del latte, gli ovini, gli equini, il pollame.
In tutte le comunità celtiche, il potere politico era nelle mani di coloro che Cesare chiama i prìncipi, quello religioso nelle mani dei druidi (per un approfondimento leggi Società celtica: chi erano i druidi clicca qui).
Al di sotto di queste due categorie sociali c’erano gli uomini liberi, ossia quanti si guadagnavano da vivere lavorando e che spesso possedevano terre e bestiame, e gli schiavi, per lo più prigionieri di guerra, privi di qualsiasi diritto e impiegati in lavori pesanti e umili.
I prìncipi erano nobili guerrieri, che non svolgevano nessuna attività lavorativa; eleggevano dai loro ranghi un magistrato che per un intero anno deteneva il governo della città, coadiuvato da un consiglio di anziani.
I druidi godevano di privilegi importanti. Unici intermediari tra il mondo degli dèi e quello degli uomini, celebravano i riti, compivano i sacrifici (anche umani), interpretavano i presagi.
La loro formazione durava molto a lungo: essi dovevano infatti dedicare una ventina d’anni all’apprendimento menmonico dei testi sacri, che la religione celtica vietava di riprodurre in forma scritta. Proprio per questo le conoscenze della religione celtica sono molto ridotte.
La testimonianza più diretta dell’universo spirituale dei Celti proviene dalle loro opere d’arte. Purtroppo però si tratta soltanto di immagini anonime, perché, a differenza dei Greci, degli Etruschi e dei Romani, i Celti non utilizzavano la scrittura per identificare le divinità rappresentate.
Come tutte le religioni politeistiche dell’antichità, anche quella celtica era un insieme composito di divinità derivate dalle antiche tradizioni o provenienti da altre culture. Le divinità principali erano Lugh, «il Luminso», che amava il giavellotto e la fionda; Taranis, il dio del fulmine, che i Romani assimilavano a Giove; Esus, «il Buono», seconda divinità per importanza del pantheon celtico; Teutates, il dio della guerra.
Il disegno riproduce una tipica abitazione celtica risalente al 300 a.C. circa: una capanna rotonda costituita da una struttura di legno sormontata da un tetto conico in paglia.
Le pareti erano formate da una cannicciata ricoperta su entrambi i lati da uno strato di argilla e gesso. All’interno dell’abitazione le donne svolgevano le loro mansioni. C’era il telaio verticale per tessere; per cucinare, le donne disponevano sia del fuoco, che serviva anche per riscaldare l’ambiente, sia di un forno a cupola di argilla.
Nonostante la sua semplicità, questo tipo di abitazione era particolamente robusto, tanto da resistere ai rigidi climi invernali del Nord Europa.