I canti carnascialeschi o canti carnevaleschi erano molto in voga tra il XV e il XVI secolo, soprattutto nella Firenze medicea del Rinascimento. Si tratta di canti che, durante il carnevale, accompagnavano le sfilate di carri allegorici e maschere. Prevedevano anche l’accompagnamento di strumenti musicali a corde, come liuti, chitarre, ribeche, e a fiato, quali pifferi, corni, bombarde, trombe e tromboni.
Erano di argomento quotidiano (detti Carri) o mitologico (i cosiddetti Trionfi). Quelli di argomento quotidiano, cioè i Carri, si ispiravano a consuetudini o a lavori della vita quotidiana (artigiani, carpentieri, sarti, anche eremiti e mendicanti), giocando sul doppio senso e cioè interpretandone i vari atti in modo osceno, per far divertire il pubblico; i Trionfi invece erano di argomento mitologico e restavano lontani da un’eccessiva scurrilità.
I canti carnascialeschi hanno lo schema metrico della canzone a ballo e sono costituiti in prevalenza da ottonari, a differenza della ballata in cui usano soprattutto endecasillabi e settenari.
Prevalentemente anonimi, i canti carnascialeschi hanno però anche autori assai celebri, con Angelo Poliziano, Niccolò Machiavelli e Lorenzo de’ Medici. Quest’ultimo ha composto il canto carnascialesco più famoso, la Canzona di Bacco detto anche (dato l’argomento mitologico) il Trionfo di Bacco e Arianna.
L’aggettivo “carnascialesco” è la forma arcaica toscana di “carnevalesco”, e quindi sta per “relativo al carnevale”, cioè a un momento dell’anno liturgico che precede la penitenza quaresimale e l’astinenza alimentare (“carnevale” deriva infatti dal latino medievale carnelevare “proibire la carne”, perché dopo il Carnevale inizia la proibizione di mangiare carne).