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Brigantaggio postunitario e le sue cause

Il brigantaggio è un fenomeno fortemente diffuso nell’Italia postunitaria. Nella parte continentale dell’ex Regno borbonico costituì infatti la prima e più consistente minaccia all’Unità.

Si trattò di un fenomeno complesso, nel quale trovarono sfogo molti problemi del Meridione che il governo, affidato alla Destra storica (la corrente liberale che si riconosceva nelle posizioni di Cavour), non sapeva come affrontare.

Già nell’ultima fase dell’impresa garibaldina erano scoppiate, soprattutto in Campania, rivolte contadine di una certa gravità.

Le cause del brigantaggio

Tra le principali cause della mobilitazione contadina rimaneva irrisolta la questione della proprietà della terra e in particolare quella della divisione dei terreni demaniali e di quelle soggette agli usi civici, passate di fatto nelle mani della nobiltà e della borghesia terriera.

Al malessere delle masse contadine si sommò una diffusa ostilità verso il nuovo ordine politico. Esso infatti non aveva portato alcun mutamento radicale nella sfera dei rapporti sociali, anzi aveva visto la borghesia rurale schierarsi dalla parte della nuova classe politica.

A questo si erano poi aggiunte la nuova pesante fiscalità e la leva militare obbligatoria osteggiate duramente dal mondo contadino. Rapidamente i disordini si fecero più estesi e più frequenti, fino a trasformarsi in una generale insorgenza, incoraggiata da una parte del clero e finanziata dalla corte borbonica in esilio a Roma.

Caratteristiche

Le bande avevano una composizione eterogenea. Erano costituite infatti da veri briganti abituati a sequestrare e uccidere; da ex soldati borbonici e piccoli proprietari terrieri che cospiravano per un ritorno dei Borbone; da contadini in rivolta.

Le bande assalivano di preferenza i piccoli centri e li occupavano per giorni, massacrando i notabili liberali e incendiando gli archivi comunali. Quindi si ritiravano sulle montagne per attaccare subito dopo altrove.

Le conseguenze

A queste aggressioni, il governo reagì con spietata energia. In primo luogo con rappressaglie indiscriminate compiute dall’esercito: come quella di Pontelandolfo, nei pressi di Benevento, dove nell’agosto 1861 furono uccisi 400 civili e incendiato il paese.

Nel 1863 il Parlamento approvò la legge Pica, che istituiva tribunali militari per giudicare i ribelli e fucilazione immediata per chi avesse opposto resistenza con le armi.

La repressione del brigantaggio da parte dello Stato unitario fu particolarmente cruenta. Secondo cifre dedotte dai documenti del ministero della Guerra e della Camera dei deputati, tra il 1861 e il 1865 furono uccisi (in combattimento o fucilati) 5212 briganti. Cifra ufficiale, probabilmente approssimativa per difetto, cui vanno aggiunti gli oltre 5000 arresti.

Le classi dirigenti considerarono il brigantaggio un problema criminale e morale e tesero a ridurne la portata politica. La recente storiografia ha invece paragonato il brigantaggio e la reazione dello Stato unitario ad una vera e propria guerra civile.

Il brigantaggio rappresentò la prova più tangibile dell’esistenza di una questione meridonale, destinata ad alimentare un lungo e ancora vivo dibattito.

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