Il cavaliere inesistente di Italo Calvino, riassunto dettagliato, analisi, commento, tematiche.
Il cavaliere inesistente riassunto dettagliato
Il cavaliere inesistente (1959) di Italo Calvino nella finzione letteraria è scritto da Suor Teodora (che alla fine si rivela essere l’eroina Bradamante) per la madre badessa del suo convento.
L’esercito cristiano guidato dall’imperatore Carlo Magno fronteggia, sotto le mura di Parigi, l’esercito degli infedeli invasori. Mentre Carlo passa in rassegna le sue truppe, fra lerciume, fango e sangue, nota un cavaliere che sembra quasi irreale: armatura bianca, lucida e pulita, portamento regale.
Si tratta di Agilulfo, un cavaliere “senza macchia e senza paura”. Egli, impavido e coraggioso in battaglia, sempre sveglio e attento anche nei momenti di riposo, impiega il tempo libero a riordinare e controllare il campo, a impartire ordini e a criticare sottoposti e colleghi, attirandosi l’antipatia di molti.
Agilulfo, una notte, mentre sta vagando per l’accampamento, incontra Rambaldo, un giovane cavaliere, che gli chiede consigli su come potrà il giorno dopo trovare sul campo di battaglia l’Argalif Isoarre, perché deve ucciderlo per vendicare la morte del padre. Agilulfo, per risposta, gli indica il padiglione al quale dirigersi, dove troverà cavalieri addetti a dargli le risposte che cerca. Rambaldo rimane colpito dalla sicurezza e dalla fermezza del cavaliere, ne prova subito grande stima e lo prende a modello.
Il giorno dopo, lungo la strada per il campo di battaglia, l’esercito si imbatte in un originale personaggio. Si tratta di Gurdulù. Al contrario di Agilulfo che «sa di esserci ma non c’è», lui «c’è ma non sa di esserci», tanto da essere chiamato in modo diverso in base ai vari paesi per i quali passa. Carlo Magno ne resta particolarmente colpito e ordina al cavaliere inesistente (Agilulfo) di prenderlo con sé come scudiero.
Infuria la battaglia, durante la quale Rambaldo trova e uccide l’Argalif (vi riesce solo perché questi durante un combattimento ha perso gli occhiali).
Sulla strada del ritorno Rambaldo cade in un’imboscata; durante il duello con due arabi è aiutato e salvato da un cavaliere misterioso, che fugge via al galoppo non appena il duello ha termine.
Rambaldo lo insegue per scoprirne l’identità e manifestargli la sua riconoscenza; lo perde di vista, ma poi lo ritrova mentre sta facendo un bagno nel fiume e scopre che è una donna. Chiede informazioni ai suoi compagni di campo e viene a sapere che il suo nome è Bradamante. Anche Bradamante combatte al seguito di Carlo Magno ed è innamorata (ma non corrisposta) di Agilulfo. Rambaldo se ne innamora pazzamente.
Agilulfo ha ricevuto il titolo di cavaliere dopo che, quindici anni prima, ha salvato dalla violenza di due briganti la vergine figlia del re di Scozia, Sofronia. Durante un banchetto all’accampamento con altri cavalieri, però, si viene a conoscenza di un’altra versione dei fatti. A raccontarli è Torrismondo, un giovane cavaliere, che si dichiara figlio di Sofronia, nato da lei venti anni prima quando aveva solo tredici anni. Agilulfo dichiara che il ragazzo mente, quindi partirà alla ricerca di colui che per prima l’ha violata e avere così conferma della data sino alla quale Sofronia può considerarsi “ragazza”. Anche Torrismondo lascia il campo per andare alla ricerca di suo padre, del quale non conosce l’identità, sa solo che fa parte dell’ordine dei Cavalieri del Santo Graal.
Bradamante, sconvolta dalla notizia della partenza di Agilulfo, indossa la sua armatura e parte in gran furia, mentre Rambaldo le grida dietro di non andar via. Egli proprio non comprende come la ragazza non possa ricambiare il suo amore; è convinto che lei sia solo innamorata dell’idea dell’amore e della visione di se stessa con Agilulfo. E così parte anche Rambaldo.
Durante il suo viaggio, Agilulfo arriva in una città cinta da mura; le guardie gli chiedono di scoprire il viso, poiché c’è un feroce brigante che imperversa nei dintorni. Agilulfo si rifiuta, forza il passaggio, scappa ed entra nel bosco. Lo batte in lungo e in largo finché non scova il brigante, lo disarma, lo incatena e lo trascina davanti alle guardie della città e poi riprende il suo viaggio.
Poco dopo Bradamante raggiunge la stessa città e chiede ai cittadini se hanno visto passare un cavaliere dall’armatura bianca. Le rispondono che da lì è corso via; Bradamante sprona al galoppo il suo cavallo.
Dopo un po’ arriva Rambaldo, che chiede ai cittadini se hanno visto passare un cavaliere che ne insegue un altro e loro rispondono di sì. Intanto Agilulfo prosegue nel suo cammino e sulla strada incontra una donna affannata con le vesti lacere, che gli si butta in ginocchio. La donna invoca il suo aiuto, affinché liberi il castello della sua padrona (la nobile vedova Priscilla) stretto d’assedio da un branco di orsi, dai quali lei è riuscita a fuggire per miracolo, calandosi con una corda dai merli.
Agilulfo è pronto a soccorrere lei e la sua padrona. Fa salire la ragazza sul cavallo di Gurdulù, perché li guidi al castello.
Sulla strada incontrano un mendicante. Questi, per ringraziare Agilulfo dell’elemosina che sta per elargirgli, lo mette in guardia dalla vedova Priscilla: «Quella degli orsi – dice – è tutta una trappola: è lei stessa che li alleva, per farsi liberare dai più valenti cavalieri che passano sulla strada maestra e attirarli al castello ad alimentare la sua insaziabile lascivia». Lo stesso mendicante, come egli stesso racconta, era stato uno dei tanti cavalieri accorsi a salvare Priscilla ed ora si ritrova in quello stato mal ridotto. Agilulfo ringrazia, ma vuole comunque affrontare la prova.
Agilulfo arriva nello spiazzo dove sorge il castello; gli orsi lo attaccano e Agilulfo ne fa strage. La vedova Priscilla lo accoglie nel suo castello e quasi gli ordina di fermarsi per la notte. Intanto le dame e le fantesche indirizzano i loro interessi verso Gurdulù, in piedi come un babbeo, tutto intento a grattarsi.
Inizialmente Priscilla prova a sedurre Agilulfo, sfoderando tutte le sue astuzie di donna vissuta, ma è Agilulfo a sedurla con la sua poesia e il suo tatto di cavaliere dall’armatura bianca. La mattina seguente parte da quel castello, lasciandola inebriata, estasiata, stupita come se quella appena trascorsa fosse stata una passionale e indimenticabile notte d’amore.
Giunto in Inghilterra, Agilulfo si dirige verso il monastero dove da quindici anni è ritirata Sofronia. Quando vi giunge trova solo un ammasso di rovine. Un vecchio del paese racconta che tempo addietro una flotta di pirati moreschi, sbarcata su quelle coste, hanno portato via con la forza tutte le religiose per venderle come schiave in Marocco e poi hanno dato fuoco alle mura.
Agilulfo si appresta a chiedere se tra esse c’era Sofronia (ora, a detta del vecchio, suor Palmira) e, al suo assenso, si premura di chiedere se Sofronia all’interno del convento conducesse una vita pia. Il vecchio risponde affermativamente; quindi Agilulfo e Gurdulù si dirigono al porto per imbarcarsi per il Marocco.
La nave sulla quale si imbarcano affonda, perché una grossa balena la urta con un gran colpo di coda. Agilulfo, a causa dell’armatura di ferro che indossa, cola a picco; prende a camminare sul fondo del mare, battendosi e uccidendo i mostri marini che man mano incontra. Gurdulù, invece, riesce a salvarsi e a raggiungere le coste dell’Africa e qui si impiglia in una rete di pescatori.
Tratte le reti a bordo, il capo pescatore lo riconosce, poiché in passato egli stesso era stato soldato dell’esercito moresco e lì aveva conosciuto Gurdulù; decide di tenerlo con sé per farne un pescatore di ostriche.
Una sera Gurdulù, mentre se ne sta seduto sugli scogli ad aprire le ostriche pescate, vede emergere dal mare un’armatura che, camminando, giunge a riva: è il suo padrone Agilulfo.
Agilulfo viene invitato da uno dei pescatori ad unirsi a loro nella pesca delle ostriche; ogni giorno infatti devono procurare una perla nuova al sultano, da regalare alla moglie di turno quel giorno. Agilulfo ringrazia, ma rifiuta la proposta perché è disdicevole per un cavaliere associarsi a imprese che abbiano come scopo il guadagno.
Il pescatore però lo informa che la perla trovata quel giorno è destinata alla nuova moglie del sultano, Sofronia, comprata come schiava da pirati del Marocco un anno prima; ora è giunta, nel turno, a trascorrere la sua prima notte di nozze. Agilulfo propone quindi al pescatore di mediare per lui perché quella notte anziché della perla venga donato alla nuova sposa una completa armatura di guerriero cristiano, così da alleviare la sicura nostalgia di lei per il suo paese lontano.
Con questo stratagemma, Agilulfo riesce a farsi portare nelle stanze di Sofronia; le si svela, l’avvolge in un mantello e la porta via dal palazzo del sultano, uccidendo a fil di spada tutti coloro che cercano di ostacolare la loro fuga.
Intanto, Gurdulù attende coi cavalli, nascosto dietro ad un fico d’india. Nel porto ad attenderli c’è una feluca, pronta a partire per le terre cristiane. Durante la navigazione però l’imbarcazione va a sbattere contro le scogliere di Bretagna e cola a picco. A stento Agilulfo e Gurdulù riescono a portare Sofronia in salvo a riva.
Sofronia è stanca e Agilulfo la conduce in una grotta per farla riposare. Nel frattempo, assieme a Gurdulù, egli raggiungerà il campo di Carlo Magno per comunicargli che la ragazza è ancora vergine.
Intanto, Torrismondo passa davanti alla grotta, vi entra e vede Sofronia. Ora c’è un flashback: Torrismondo, nel tempo che Agilulfo ha viaggiato in lungo e in largo alla ricerca di Sofronia, è andato in cerca dell’accampamento segreto dei Cavalieri del Santo Graal. Li trova nella remota terra di Curvaldia e chiede loro di poter essere ammesso a far parte dell’Ordine. Il più anziano tra i cavalieri gli comunica che prima deve purificarsi da ogni passione, liberare la sua mente e poi lasciarsi possedere dall’amore del Graal, raggiungendo così la piena comunione con l’Universo. Ma Torrismondo è continuamente preso e distratto da ciò che lo circonda e che non condivide. Ad esempio nota che tra i cavalieri tanto i giovani quanto gli anziani, giustificandosi con la storia che tutto in loro è mosso dall’infinito amore del Graal, «si lasciano andare ad ogni rilassatezza di costumi e pretendono di essere sempre puri». L’idea che possa essere stato concepito in quella maniera gli riesce insopportabile.
Intanto arriva il giorno della riscossione dei tributi dovuti dai contadini di Curvaldia ai Cavalieri dell’Ordine. Ma quelli sono tempi di magra e allora chiedono ai cavalieri di concedere loro l’esonero dal pagamento. Per tutta risposta i cavalieri distruggono le loro povere capanne, incendiano i fienili, le stalle, saccheggiano gli scarsi raccolti.
Torrismondo è stravolto; si schiera dalla parte dei contadini, li organizza per combattere alla meglio con quello che hanno (forche, girarrosti, pietre). I Cavalieri vengono costretti alla ritirata.
I contadini vogliono che Torrismondo resti con loro, ma egli deve riprendere il suo cammino alla ricerca di se stesso. Riprende il suo vagabondare per le nazioni, finché giunge sulla spiaggia di Bretagna e incontra Sofronia, che egli non riconosce in quanto sua madre, essendo stato separato da lei quando era ancora un bambino. I due giacciono insieme.
Vengono colti sul fatto da Agilulfo (il cavaliere inesistente), che intanto è tornato indietro, accompagnato dall’imperatore Carlo Magno e da una donna che deve sincerarsi della verginità di Sofronia.
Torrismondo, all’udir pronunciare il nome di Sofronia, va fuori di sé; balza in sella al suo cavallo e fugge via, verso il bosco. Agilulfo lo segue, perché se Sofronia è madre di Torrismondo vuol dire che non era vergine quando lui l’ha soccorsa, pertanto il suo titolo di cavaliere decade.
Ma… colpo di scena! Torrismondo poco dopo torna indietro, esclamando che Sofronia non può essere sua madre dal momento che lei era vergine nel momento in cui (pochi istanti prima) l’aveva posseduta.
Allora, Sofronia, incitata da Carlo Magno, spiega che Torrismondo in realtà è il suo fratellastro, concepito dalla loro madre, la regina di Scozia, con un cavaliere di passaggio, appartenente al Sacro Ordine del Graal, mentre il loro padre, il re di Scozia, era in guerra.
Dopo l’annuncio che il re stava tornando, la regina, con la scusa di farle portare a passeggio il fratellino, la fece sperdere nei boschi e poi raccontò al re che lei (Sofronia) era fuggita per dare alla luce un figlio illegittimo, appena tredicenne. Ma pur sempre d’incesto si tratta… Eh no! (nuovo colpo di scena), perché (spiega Torrismondo) durante le ricerche sulla sua origine, è venuto a conoscenza di un segreto: Sofronia è frutto di una relazione tra il re di Scozia e una sua contadina. Il re costrinse poi sua moglie, la regina, ad adottarla. Dunque tra i due non c’è alcun vincolo di sangue (facciamo un po’ di ordine: Torrismondo è figlio della regina di Scozia e di un cavaliere del Sacro Ordine del Graal; Sofronia è figlia del re di Scozia e di una contadina).
Al termine della relazione, Rambaldo monta sul suo cavallo e corre alla ricerca di Agilulfo (il cavaliere inesistente), per rassicurarlo che il suo nome e il suo titolo non corrono alcun pericolo. Giunto in una radura, Rambaldo trova rovesciati a terra tutti i pezzi dell’armatura di Agilulfo e appuntato sull’elsa della spada un foglio di carta con scritto: «Lascio questa armatura al cavaliere Rambaldo di Rossiglione». Inutilmente Rambaldo cerca di ricomporre l’armatura, mentre grida al cavaliere inesistente di ritornare perché il suo grado nell’esercito e nella nobiltà di Francia è incontestabile. Ma nessuna voce gli risponde.
Rambaldo indossa l’armatura bianca, s’impossessa dello scudo e della spada e torna indietro e così bardato chiede all’imperatore di essere mandato in battaglia. Il suo desiderio è esaudito: è mandato a combattere contro l’esercito dei saraceni sbarcato in Bretagna.
Rambaldo esce vittorioso e incolume dalla battaglia. Ad un tratto sente la voce di Bradamante, che da lontano lo ha visto e lo chiama, scambiandolo per Agilulfo. Tra i due inizia un gioco d’amore: si rincorrono a vicenda, lei è contenta perché è convinta che si tratti di Agilulfo che finalmente ha preso ad inseguirla, perché la desidera; lui (Rambaldo) la insegue perché innamorato di lei, ma ha il terrore di svelarle di non essere Agilulfo.
Quando Rambaldo riesce a raggiungerla la trova distesa su del muschio, spogliata della sua armatura, con gli occhi chiusi, in attesa che l’armatura bianca si accosti a lei. I due si congiungono. Quando Bradamante riapre gli occhi spinge indietro Rambaldo e lo colpisce, stordendolo. Poi parte sul suo cavallo.
Rambaldo continua la sua vita di soldato; in battaglia spera sempre di trovarsi, prima o poi, di fronte a Bradamante e ad un elmo vuoto. Anche Gurdulù va cercando Agilulfo e ogni volta che vede una pentola, una tinozza o un fiasco vuoto si ferma ed esclama: «Sor padrone! Comandi sor padrone!».
Un giorno Torrismondo (che intanto ha sposato Sofronia) mentre è in cammino con la sua sposa verso la Curvaldia, di cui è stato nominato conte dall’imperatore, incontra Gurdulù in cerca del suo padrone. Gli propone di diventare il suo scudiero; Gurdulù accetta.
Arrivati tutti a Curvaldia, i contadini, che un tempo Rambaldo aveva difeso contro l’assalto dei Cavalieri del Graal, dichiarano di non volerlo come loro conte: hanno imparato che possono vivere (e anche meglio) senza avere padroni. Dunque gli propongono di restare come un loro pari e col tempo, se dimostrerà di essere particolarmente capace, potrà diventare il primo tra pari. Torrismondo, sollecitato da Sofronia, accetta.
Il romanzo si conclude con l’inaspettata rivelazione che Suor Teodora, la voce narrante del racconto, è in verità Bradamante. Ella dopo aver scoperto che l’armatura di Agilulfo «è stata riempita» da Rambaldo si è rifugiata per il dispiacere in un convento. Durante la permanenza, però, si è accorta di amarlo e decide di partire con lui, che, nel suo errare per ritrovarla, è giunto nel frattempo al suo convento.
Il cavaliere inesistente analisi e commento
Genere: romanzo allegorico.
Contesto storico e ambientale: Italo Calvino ne Il cavaliere inesistente non inserisce precisi riferimenti temporali che ci indicano quando accadono i fatti. La vicenda si sviluppa infatti in un Medioevo molto poco attendibile, più da favola che da romanzo storico.
Le uniche indicazioni sono le seguenti: tutta la vicenda si svolge ai tempi di Carlo Magno durante le guerre contro gli infedeli musulmani, che (storicamente) avevano occupato la Spagna; la storia ha inizio in Francia, sotto le mura di Parigi, in un pomeriggio molto caldo di mezza estate; il tempo della storia è maggiore del tempo del racconto: sappiamo infatti che trascorre un periodo molto lungo fra l’inizio e la conclusione della storia, ma non abbiamo riferimenti precisi in merito.
Lo stile. Il romanzo è suddiviso in 12 capitoli senza titolo. Il narratore interno è suor Teodora, che, inizialmente, è esterna alla storia, ma poi vi entra nel finale, quando rivela di essere Bradamante, l’eroina guerriera.
L’intera opera è fondata sull’uso dell’iperbole. Infatti, nel romanzo è tutto volutamente esagerato e irreale, tale da permettere a Calvino, attraverso un’acuta allegoria, di compiere una penetrante analisi dell’uomo moderno e della sua esistenza.
Anche se Calvino fa uso di espressioni ricercate e altisonanti, il suo stile resta rigoroso, limpido, essenziale e pienamente comunicativo, anche attraverso l’uso del discorso indiretto libero.
Il cavaliere inesistente tematiche
Il tema principale ruota attorno a ciò che “è” e a ciò che “appare”.
In particolare, Calvino riflette su come l’uomo di oggi possa pensare di essere qualcuno solo grazie alla funzione sociale che riveste; quando ne è privato, diventa una figura “inesistente”, vuota, com’è vuota l’armatura del cavaliere inesistente Agilulfo.
L’altra tematica affrontata nel romanzo è quella della “ricerca di sé” e del percorso che l’uomo, da adolescente, compie per diventare adulto. A rappresentare e ad affrontare questo tema sono i personaggi di Rambaldo e di Torrismondo.
In particolare, Rambaldo è un giovane che per la prima volta affronta delle prove decisive ed è quindi pieno di ansie, ingenuità e incertezze. Ma nello stesso tempo è desideroso di buttarsi a capofitto nelle vicende della vita. Costruisce la sua personalità attraverso le vicende della guerra in cui è coinvolto e attraverso l’esperienza amorosa. E’ dotato di molta fiducia in sé e perseveranza e impara con queste a non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà e alla fine viene premiato perché conquista l’amore della sua amata Bradamante. Rambaldo può essere considerato come l’unione tra Gurdulù e Agilulfo. Rambaldo è infatti razionale come Agilulfo, ma riesce a farsi guidare dal suo cuore e dalle sue emozioni come Gurdulù.
Infine, nel romanzo vi è la denuncia alla guerra come attività inutile e vuota di significato. Ma la visione pessimista non impedisce a Calvino di concludere Il cavaliere inesistente con un’apertura di speranza e di amore verso il futuro: «…ecco, o futuro, sono salita in sella al tuo cavallo.[…] Quali impreviste età dell’oro prepari, tu foriero di tesori pagati a caro prezzo, tu mio regno da conquistare, futuro».